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domenica 27 novembre 2011

"IO LI HO VISTI": ROSARIO BENTIVEGNA, L’ATTENTATORE DI VIA RASELLA

Estate 1953 : da poco tempo ero ospite, per ragioni di salute, della Casa di Cura “Pineta di Sortenna” in Sondalo... (Di Franco Clementi)

Un giorno, all’ora della passeggiata, col mio compagno di camera, stavo percorrendo un sentiero tra i pini, quando passai accanto ad un signore, cui si potevano attribuire poco più di trent’anni, bruno, ricciuto, di taglia media, con fisionomia meridionale. Era insieme ad una donna bionda, dallo sguardo vivo, intelligente.

Il mio compagno, appena incrociata la coppia, mi sussurrò, quasi fosse un segreto di Stato : «Sai chi sono quei due ? Lui è Bentivegna, quello che ha messo la bomba di Via Rasella ; sì, la bomba che provocò la rappresaglia tedesca delle Ardeatine. Lei è l’onorevole Capponi, la moglie. Lui è malato ed è qui come invalido di guerra ; lei per venirlo a trovare passa qui vicino un periodo di villeggiatura. Tutti e due sono “medaglia d’oro” della Resistenza.».

Riconosco che l’identità della coppia, ma soprattutto quella dell’uomo, destò la mia curiosità ma, per discrezione, non mi soffermai oltre.
Nei giorni successivi ebbi modo d’incontrare spesso sia il marito, sia la moglie: osservai che se ne stavano piuttosto appartati, senza far comunella con gli altri degenti ; non mangiavano nella sala da pranzo, ma riservatamente, in camera; spesso erano in compagnia di gente venuta da fuori a trovarli. Certo entrambi i protagonisti mi sembrarono persone qualunque, normalissime; nulla li poteva far sospettare capaci di azioni tanto ardite e pericolose da determinare avvenimenti destinati a rimanere nella storia.
Sul finire dell’estate i Bentivegna se ne andarono e non li ho rivisti mai più.

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L’azione partigiana di cui furono esecutori avviene il 23 Marzo 1944: il Bentivegna, travestito da spazzino, trascina per via Rasella (una strada al centro di Roma, appena sotto il Quirinale) un carretto con due bidoni della nettezza urbana : all’interno ha deposto venti chili di tritolo misti a spezzoni di ferro. Sa di avere cinquanta secondi di tempo fra l’accensione della miccia e l’esplosione. Quando il drappello di soldati tedeschi imbocca la via, un compagno partigiano fa un cenno d’intesa togliendosi il cappello. La miccia viene accesa, Bentivegna col cuore in gola s’allontana ; dietro l’angolo l’attende la Capponi che gli copre la tenuta da spazzino con un impermeabile. La bomba esplode : muoiono 33 soldati tedeschi (per lo più alto-atesini, componenti di una banda musicale). Si scatena la rappresaglia con il fin troppo noto eccidio delle Fosse Ardeatine.

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Negli anni successivi e anche di recente, in occasione del processo Priebke, non mancarono critiche all’azione partigiana di Via Rasella:
essere stato l’attentato inutile dal punto di vista militare, perché colpiva solo degli anziani musicanti ;
essere stato l’attentato pericoloso per la popolazione civile, perché era nota la possibilità d’una rappresaglia tedesca ;
essere stati gli attentatori dei vili, perché dopo l’imboscata non avevano avuto il coraggio di consegnarsi ai tedeschi per evitare la strage di civili ;
Il Bentivegna rispose che queste polemiche erano pretestuose ed infondate, opponendo queste considerazioni:
in un’azione militare non si può controllare l’età dei soldati nemici, né se sono appartenenti alla banda del reggimento ;
le azioni belliche debbono prescindere dalla possibilità di ritorsione del nemico, perché altrimenti rimarrebbe solo la resa alle sue minacce di vendetta ;
se i partigiani si fossero consegnati ai tedeschi probabilmente la strage delle Ardeatine sarebbe avvenuta ugualmente e in più, anche mediante la tortura, si sarebbero potute carpire loro informazioni atte a smantellare l’intera organizzazione della Resistenza in Roma. L’azione terroristica deve intimidire e disorientare il nemico soprattutto non facendogli capire da chi e da dove viene il pericolo.

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Per quel che riguarda la rappresaglia tedesca va detto che essa, per quanto nefanda, va inquadrata tra le tante crudeltà che la guerra fa compiere a tutti i belligeranti quando la lotta è all’ultimo sangue.
L’orrore delle Ardeatine è in qualche modo diverso dall’olocausto dei campi di sterminio nazisti, in quanto non premeditato, casuale, separato da elaborate teorie razziali maturate a freddo.
Esso fa compagnia ad altre consuetudini di guerra, come la pratica della decimazione, i tribunali marziali senz’appello, i bombardamenti su quartieri civili, per finire con le stragi di massa atomiche.
Il responsabile delle Ardeatine al processo si difese : «Avevo l’obbligo di salvaguardare la vita dei miei soldati....». Frase che fa il paio con quella del Presidente U.S.A. Truman che, richiesto perché avesse permesso di sterminare 100.000 giapponesi inermi con la bomba di Hiroshima, rispose : «Sapevo che sarebbero morti dei civili, ma dovevo risparmiare la vita di tanti ragazzi americani....».
Insomma, la guerra è guerra , è anti-umana per natura e va condannata “in toto”, più che per i singoli episodi che ne sono la necessaria conseguenza.

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Post scriptum
A proposito delle Ardeatine va segnalata una circostanza curiosa. Esse sono diventate a tal punto simbolo della Resistenza da far passare in secondo piano episodi ancor più barbari e sconvolgenti ; ad esempio si parla sempre meno delle centinaia di trucidati di S. Anna di Stazzema e degli oltre mille di Marzabotto.
Affaccio alcune ipotesi sulle diverse intensità del ricordo :
la necessità sentita da alcuni ambienti della Resistenza di bilanciare la notevole attività partigiana del Nord con qualche evento che mettesse in luce anche le regioni dell’Italia centrale e Roma in particolare. Allo stesso modo si sono esaltate, oltre ogni prova e documentazione storica, le “Quattro Giornate di Napoli” per creare un contrappeso al Sud, dove la lotta clandestina fu del tutto assente;
la constatazione che quel che succede a Roma appare a qualcuno più importante di ciò che accade nel resto della nazione (nei telegiornali RAI una pioggerellina nella Capitale è più importante di un nubifragio in Val d’Aosta) ;
la comodità per i governanti di portare fiori e corone e assistere a cerimonie vicino a Roma anziché andarsene in provincia.

Il lettore può scegliere tra queste supposizioni : forse sono esatte tutte e tre.

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