Antonio Pievani nacque a Tirano nel 1837 dall’omonimo ed illustre casato che aveva residenza presso la storica chiesetta di San Giacomo.
Avviato dapprima alla carriera ecclesiastica nel seminario di Milano, città nella quale il padre aveva un rinomato studio legale, affrontò in quella sede un ciclo di studi che gli permisero di acquisire una solida cultura classica.
Passò successivamente all’università di Pavia e alla Sorbona di Parigi dove perfezionò gli studi di matematica e scienze fisiche, materie verso le quali sentiva particolare inclinazione.
Tornò a Tirano e decise, nel 1860, di raggiungere Garibaldi a Quarto partecipando così alla storica Spedizione dei Mille. In quella leggendaria campagna divenne presto uno dei personaggi di spicco e raggiunse il grado di luogotenente d’artiglieria; Cesare Abba nelle sue “Memorie di uno dei Mille” lo descrive così: “ppoggiato durante una sosta al suo cannone in atto di spiegare il Vangelo ai soldati”.
Compiuta tutta la campagna delle due Sicilie, dopo aver rifiutato l’offerta di grandi ed illustri cattedre universitarie, si ritirò nella nativa Tirano dove trascorreva il suo tempo dedicandosi agli studi a lui prediletti e prendendo parte a conversazioni di naturasquisitamente politica con il grande amico e coetaneo don Luigi Albonico che in quegli anni era Prevosto della Collegiata di San Martino.
Venne poi eletto sindaco ed anche in quell’occasione spiccò la sua opera di altruismo e bontà verso i concittadini che in quel periodo erano alle prese con un’epidemia di colera che si era rapidamente diffusa in tutta la valle.
Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, nel 1874, maturò in lui l’idea di ritirarsi in convento; prima di partire donò tutti i suoi libri al Prevosto don Albonoco: fu per lui un modo particolare per continuare quella straordinaria amicizia che li aveva legati vivendo insieme tanti momenti di vita tiranese.
Si recò a Lovere in provincia di Brescia e chiese di essere aggregato al locale convento dei Cappuccini come semplice fratello al servizio della comunità; evidentemente riuscì a mascherare bene le sue qualità di gentiluomo e letterato che nella vita quotidiana segnarono la sua illustre persona.
Rimase in quel convento sconosciuto ed umile pressoché fino alla morte avvenuta nel 1880; solamente negli ultimi mesi di vita, i frati che con lui condividevano la preghiera e gli altri gesti di vita quotidiana all’interno del convento si accorsero della profonda cultura e della spiccata intelligenza di Antonio.
Un giorno, mentre un padre del convento stava disegnando una meridiana, Antonio si accorse di alcuni errori che si stavano verificando durante la realizzazione di quest’opera e subito riaffiorarono in lui le nozioni apprese in vari anni di studi.
Diede indicazioni e spiegazioni talmente approfondite e ricche di particolari che solo uno studioso poteva sapere e subito i frati rimasero ammaliati da quella profonda cultura del nostro concittadino che con umiltà sei anni prima aveva bussato alla porta del convento per seguire la strada e le regole dei Cappuccini.
Ora però viene spontanea una domanda: perché un uomo di così ampia levatura culturale aveva deciso di concludere i suoi ultimi anni di vita terrena nell’anonimato e nella solitudine di un convento?
Per dare una risposta ci vengono in aiuto le parole che Monsignor Varischetti scrisse su di lui nell’opera Tirano:
“Antonio Pievani fu indiscutibilmente un fervido patriota, ma nel contempo, essendo uomo di superiore intelligenza e di drittura umana e cristiana eccezionale, soffrì intimamente il dramma del nostro Risorgimento, in tutte le sue dimensioni, e soprattutto nei suoi contrasti d’ordine civico e religioso, morale e spirituale.
Il gesto conclusivo della sua vita, consegnatasi a Dio, in modo totale e irrevocabile, può forse spiegare la vita intera di quest’uomo insoddisfatto, proteso a cercare le soluzioni sostanziali della propria vita.”
Si conclude così la vicenda di quest’uomo solitario e inquieto che aveva stretto un grande rapporto con l’Albonico e forse, anzi, sicuramente, sotto una sdrusciata tonaca di un prete e sotto il ruvido saio di un frate hanno battuto forte due grandi cuori animati dall’amore per la Patria e verso Dio.
Ivan Bormolini
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