7 luglio 2005: a Londra esplodono quattro bombe sui mezzi pubblici, nell’ora di punta, causando 56 morti e 700 feriti. La notizia fa il giro del mondo in pochi minuti, tutti i telegiornali ne parlano.Anche la signora Sommers, che vive su una piccola isoletta nella Manica, sente la notizia, e subito la sua mente vola a Londra, dove la figlia Jane si trova a studiare. Le tragiche immagini dell’attentato arrivano anche agli occhi del signor Ousmane, un africano che vive in Francia e che ha un figlio a Londra, ma non vede più da quando aveva sei anni.
Nessuno dei due genitori riesce a contattare il proprio figlio per assicurarsi che stia bene, così tutti e due decidono di andare a Londra e cercarli di persona. Una volta arrivati nella capitale britannica, la signora Sommers e il signor Ousmane iniziano un percorso alla ricerca dei propri figli, scoprendo di non conoscere affatto che tipo di vita facevano, quali scelte, quali ideali. La ricerca disperata dei due genitori si incrocia, perché i due scoprono che i rispettivi figli vivevano insieme ed erano innamorati. Cercando di ricostruire la vita della figlia delle ultime settimane, la signora Sommers scopre che Jane frequentava lezioni di arabo e che, probabilmente, era diventata musulmana, come il figlio di Ousmane. Nonostante la diffidenza iniziale, soprattutto della signora Sommers nei confronti di Ousmane, i due cominciano a collaborare e a farsi forza l’un l’altro, sperando di ritrovare i figli ancora vivi.
Con il film “London River”, il regista Rachid Bouchareb vuole raccontare una storia di dialogo tra culture e religioni diverse. L’incontro della signora Sommers e del signor Ousmane riesce a superare pregiudizi e diffidenze di tipo culturale, aprendosi al dialogo e all’accettazione dell’altro in quanto essere umano, con gli stessi sentimenti e le stesse paure. Ciò che conta sono le persone, gli affetti, l’amore dei genitori per i figli, quello tra uomo e donna, che supera le differenze razziali, religiose, culturali e, soprattutto, supera i pregiudizi. Spesso è la paura del diverso e, in questo caso, anche del fanatismo, che impedisce l’incontro e il dialogo. Ma questa situazione viene superata quando, oltre la razza o il credo religioso, si riconosce la presenza di una persona, di un essere umano, che deve essere accettato in quanto tale.
Quello che fa Rachid in questo film è concentrarsi sulle persone e sull’avvicinamento graduale tra una donna bianca protestante e un uomo africano musulmano. Questi due sono diversi negli aspetti più esteriori (sesso, razza, religione), ma riescono a dialogare e capirsi perché ognuno riconosce nell’altro lo stesso dramma che sta vivendo. Il messaggio più significativo che il film trasmette è che l’integrazione non ha tempo e non ha età, ma nasce dall’incontro concreto tra le persone che devono vedersi, accettarsi e riconoscersi. Non si può pensare di fare integrazione solo a parole, ma bisogna innanzitutto riconoscere le differenze, le diffidenze e i pregiudizi che tutti ci portiamo dentro e poi cercare l’altro e accettarlo come persona, non come stereotipo di una cultura, razza o religione.
Camilla Pitino
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