Nel rifugio vi è un pronto soccorso che mi presta le prime medicazioni. Ho un grosso taglio nel cuoio capelluto sopra gli occhi, da cui zampilla il sangue e le mie budella sono tenute in posto dai pantaloni, perché ho un grosso tagliosul ventre nel lato sinistro, inoltre vari tagli sono nelle braccia e nelle gambe: ma sono ancora in piedi.
Ricostruendo, determiniamo in che modo ci siamo feriti, perché anche i tre marinai hanno ferite dello stesso tipo.All'esplosione della bomba di fianco al sommergibile, tutte le manovre che erano in camera di manovra sono saltate: volantini, leve, teste di bulloni, apparecchi, manometri, indicatori vari, lampadine, sono diventati proiettili che più o meno ci hanno colpito tutti. Inoltre il pagliolo si è spezzato in vari posti e siamo precipitati in sentina, e anche la caduta in sentina ha prodotto ferite ed escoriazioni alle gambe. Lo scafo del sommergibile dal lato dell'esplosione era tutto ondulato, la lamiera dello scafo si era infossata in corrispondenza dei vani tra un montante e l'altro, inoltre vari bulloni erano saltati e varie linee d'acqua si erano formate nello scafo resistente. La torretta era stata spazzata con violenza dall'onda d'urto dell'esplosione e se fossimo rimasti in plancia ci avremmo lasciato la pelle al 90%, ma non solo quella, anche la carne e pure le ossa. Perché ho pensato di scendere in camera di manovra per tentare quanto mi ero prefissato? E' stato preveggenza, intuizione, fortuna? Non lo saprò mai, ma certamente questa decisione ci ha salvato la vita.
Terminato il bombardamento, tutto fasciato, mi reco sul molo dove era ormeggiato l'H8. Già sono in azione i sommozzatori che bussano sullo scafo alla ricerca di eventuali superstiti, dallo scafo sommerso continuano ad uscire bollicine d’aria. Mi presento e confermo che a bordo non è rimasto nessuno, quindi i sommozzatori si allontanano. Con una camionetta mi portano in casermetta e mi presento al Comandante, con una larga fasciatura in testa, la vita sorretta da un grossolano bendaggio braccia e gambe fasciate e con un poco di gigioneria, sfoggio il mio saluto e faccio rapporto:
Vengo imbarellato ed accompagnato in una camerata di una dozzina di letti al primo o secondo piano. Una suorina premurosa mi sta facendo preparare un letto in zona centrale della camerata. Non ci sono molti letti occupati, cinque o sei sulla dozzina. Ma il mio sguardo corre ad un letto vicino alla finestra che in quel momento è baciato da un raggio del sole calante sul mare. Rifiuto il letto preparatomi e desidero essere messo in quel letto vicino alla finestra. Per dissuadermi la Suorina dice che non me lo consiglia, chiedo il perché. Mi si dice che in quel letto è appena morto quello che lo occupava .La mia risposta è che così è meglio, perché secondo il calcolo delle probabilità è molto difficile che ne muoia di seguito un altro. E così mi conquisto il letto che mi piace e dal quale, stando disteso ricevo il sole e vedo il mare.
Vengo portato in camera operatoria, mi lavano, e cominciano a cucirmi le ferite prima quella sul cuoio capelluto, sette od otto punti, poi quella sul ventre e sento che parlano di lasciare un canaletto per lo scarico dell'eventuale infezione, poi i taglietti e buchetti sulla braccia e sulle gambe e mi rimettono a letto. Dormo discretamente, il posto è tranquillo e isolato. Una grande croce rossa sul tetto piano dell'edificio ci protegge da eventuale bombardamenti. Le mie ferite procedono bene, la temuta infezione non si è verificata, la mia salute progredisce.
Mi portano la corrispondenza che mi è inviata da La Spezia. Vi sono varie lettere, dalla mamma e da Annamaria, e anche dalle mie care amiche Luisa, Pinetta e Liliana. La loro corrispondenza mi ha sempre seguito nei vari porti dove gli avvenimenti mi portavano. Nelle varie licenze le incontravo ed i loro cari saluti ed auguri e spesso le loro preghiere mi hanno sempre accompagnato.
A cura di Ezio Maifrè
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