I colori, i suoni, gli odori, l’immagine di una casa, di un albero, un fiore e qualsivoglia oggetto li percepiamo come esperienza visiva , sonora, olfattiva in onde elettromagnetiche che il nostro cervello elabora in esperienze visive, sonore, olfattive, ecc. ecc. di ogni giorno. Il Mondo è fatto di vibrazioni d’onde; tutto sarebbe grigio e insignificante senza di esse e il nostro cervello non potrebbe percepire nulla del mondo che lo circonda . I sogni sono tutt’altra cosa, essi non provengono dall’esterno, essi sono in noi. Provate a chiudere gli occhi, non vedrete ma sognerete lo stesso. Così è anche per la leggenda di un luogo. Esiste perché è stata creata da un vissuto particolare e misterioso. Per chi la sente raccontare può essere una magia del luogo e un passaparola di sensazioni sempre nuove e irripetibili. Ognuno ha il suo sogno , il mio lo racconterò alla fine di questo scritto solo per amore di un territorio che affascina e incanta.
Detto questo, racconterò la leggenda del vecchio del “dazio “di Trivigno.
Siamo ai tempi “ da unòrum “. Sulla montagna interamente boschiva che sovrasta Tirano , proprio sulla sua sommità , alcuni pastori con mucche, capre e pecore, avevano creato con il loro lavoro la bonifica della stupenda conca che ancor oggi si vede. Avevano disboscato alcune aree creando prati, tagliato sterpaglie e bonificato parte del terreno acquitrinoso. Tutto questo lavoro l’avevano fatto nei mesi estivi, poiché nei mesi invernali vivevano in valle. Non erano solo pastori, coltivavano in valle anche frumento, segale, patate e anche la vite traendone degli ottimi vini. Questi contadini erano di Tirano, di Villa di Tirano e di Stazzonae, come i loro padri, difendevano la terra e i loro valori dalle escursioni barbariche in valle rifugiandosi anche sui monti. Raggiungevano quell’alpe in cima alla montagna di Tirano con tre mulattiere. Una partiva dal Dosso in Tirano, raggiungeva l’alpe Pra Piano e arrivava proprio all’inizio della grande pastura, l’altra giungeva dall’alpe di Cabrèla e si congiungeva sul lato destro orografico della grande conca, l’altra arrivava da Stazzona passando per S. Cristina, si congiungeva con quella di Pian di Gembro e d’ Aprica sino ad unirsi all’inizio della conca con le altre due. Era un “ trivio “ molto importante e da quel punto dovevano transitare i pastori con il loro bestiame e tutte le masserizie per l’alpeggio estivo.
Si sa che gli affari sono affari e anche in quel tempo il danaro aveva la sua importanza, così in quel punto, proprio all’inizio della grande conca, un anziano pastore di Tirano, forse il più anziano, aveva vantato dei diritti. Diceva di essere stato il primo a scoprire quel luogo e con i suoi figli aveva iniziato il lavoro di bonifica dei terreni , facendo defluire l’acqua in canalette verso la valle e, malgrado ci fosse ancora qualche zona acquitrinosa chiamata “ carècc “ lui e i suoi figli meritavano una ricompensa. Il vecchio lo chiamavano tutti Trivinium perché, con una certa genialità, aveva costruito una baracca proprio al centro della congiunzione della tre strade ( tres – vicus ) dove i contadini di Tirano, di Villa di Tirano e di Stazzona erano costretti a passare con i loro bestiami e le loro masserizie per “ caricare “ l’alpe.
Il vecchio Trivinium non esigeva molto da loro. Era un bonaccione , ma aveva il vizio del bere vino di quello buono; sapeva che ai contadini che arrivavano dal piano non mancava mai la botticelle del vino. Insomma, a guardia delle tre strade , quando passava quello di Tirano, il vecchio si faceva dare per “dazio” un “butìcc“ ( botticella ) di vino del Mazacavàl, quando passava quello di Villa e si faceva dare un “ butìcc “ di vino dèli Piàti , poi passava quello di Stazzona e si faceva dare un “butìcc” di vino “ de S. Bernàrd”. Quel posto tutti i contadini lo chiamavano “ cab tri- uinom “ che nel loro dialetto celtico significava capanna dei tre vini.
La gente narra che il vecchio Trivinium , che come si è detto, era anche bonaccione,obbligava i contadini prima di raggiungere l’alpe a berne un goccio con lui. Aveva imposto che ognuno che pagava il “dazio” in vino, ad esempio il tiranese, doveva però gustare anche il vino di Villa e di Stazzona. Tutti facevano la bevuta volentieri perché la salita all’alpe era stata lunga e l’arsura si faceva sentire . Insomma, si pagava il “dazio” in vino, ma tutti lo pagavano volentieri e dalla capanna la gente partiva allegra perché aveva bevuto del buon vino. Sì , proprio così’! La gente saliva molto volentieri all’alpe che molti chiamavano l’ alpe del dazio del vecchio Trivinium dove si gustavano “ obbligatoriamente “ i tre magnifici vini arrivati dal piano. Alcuni , prima di partire per l’alpe cantavano a squarciagola “ andùm, andùm , sü ‘l munt dei trì vìn, però regurdùmas de purtà rèe ‘l nòs butisìn “ .
All’inizio si è detto che non c’è luogo ove non vi sia leggenda, quasi si può dire che la leggenda fa il luogo e lo fa vivere, così forse è anche oggi per quel luogo meraviglioso che è la conca di Trivigno . Difficile dire se il nome di Trivigno deriva da questa leggenda, certo è che se provate a salire a Trivigno in allegra brigata e, arrivati lassù, gustate il chisciöl e la polenta taragna, accompagnando il tutto con abbondanti sorsate dei “tri-uinom” sopra citati, scoprirete con meraviglia che la leggenda ha il profumo della “verita”e il luogo è meraviglioso.
Parola è parola. Avevo promesso di raccontare il mio sogno fatto di sensazioni per un territorio pieno di magia. Eccolo! Proprio lassù dove il vecchio Trivinium aveva costruito la sua capanna del “ dazio “ , proprio accanto alle tre strade che si uniscono ancora oggi, ho sognato un grande parcheggio di auto.
Ho visto persone abbandonare l’auto nell’ombroso parcheggio e salire su un trenino verde con carrozze panoramiche. Ho visto gente salire su comodi carri trainati da grossi cavalli. Ho visto ragazzi inforcare biciclette, giovani e meno giovani calzare scarponi, indossare giacche a vento e zaino e poi raggiungere la chiesa di S. Gaetano, la Crùs, li Banchèli, la Culùm, il Gioel . Ho visto deliziose villette nascoste nella pineta, erano piene di vita e rispettose del quieto vivere. Ho visto graziosi ritrovi affollati da gente che, in serenità e in allegria, si gustava ciò che il vecchio Trivinium aveva “imposto” ai suoi convalligiani.
Vien da pensare che il vecchio non costruì la capanna presso il “trivio” delle strade al puro scopo di incassare il “dazio “, ma per far da guardiano, per conoscere la gente che “ caricava “ l’alpe da sogno, per aver la certezza che il “ suo “ splendido territorio fosse tutelato e rispettato.
e.m.
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