Oggi vi regna il silenzio, ma un tempo le corti erano luogo di ritrovo e di bei dialoghi tra la gente contadina di Tirano... (Di Ivan Bormolini)
Oggi vi regna il silenzio, ma un tempo le corti erano luogo di ritrovo e di bei dialoghi tra la gente contadina di Tirano; la corte era vista come luogo di ritrovo e di condivisione. Oggi, in alcuni casi, alcune corti sono abbandonate al loro destino, in altre vi sono ancora delle famiglie che vi abitano, ma forse è giusto dire che quei racconti di vita d’altri tempi, quella volontà di ritrovarsi, magari in occasione di qualche alterco, fa parte del ricordo e di una bella pagina di storia tiranese che è bello non dimenticare.
Che belle le nostre curt a Tirano: ricordiamo quelle dei Pap, di Plòo, di Pilòti, di Scimunèta, di Füstèla o di Tugn, a Madonna quelle dei Bùlferi, di Cabàs, di Sachetùn e altre ancora.
Questi cortili, certamente non famosi per particolari stili di costruzione, non erano destinati a operazioni relative al lavoro dei contadini; per questo, infatti, vi erano spazi dietro le abitazioni dove trovavano locazione l’orto e sicuramente anche la zòca de la grasa.
Erano luoghi destinati alle necessità della famiglia (deposito di legna, o attrezzi di uso quotidiano) e ritrovo per i bambini che passavano bei momenti a giüga a li cichi.
Ma la curt, assumeva anche un significato diverso e particolare quando questa era in comune a più abitazioni e quindi a più famiglie: diveniva luogo d‘incontro, una piccola piazza dove si parlava e si trascorrevano momenti di svago, magari seduti su quelle panche in pietra. Ecco allora che oltrepassando quegli archi vi era un antico mondo, quasi intimo, lontano dalla contrada e dal borgo.
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Era una bella mattina di maggio nella corte. ‘L bun Giuàn l’éra tüt ciapàa a martelà ‘l ràanz cun ancügen e martèl, e ‘l Lüis l’éra rèe a giüsta i déenc’ di rastèi e a cuntrulà i mànach.
D’un tratto arrivò ‘l Màriu:
Vèta, vèta! Esclamarono i due presi nel lavoro, l’è scià ‘l Màriu… Che cüntet de bèl?
Pròpri niéent! Rispose Mario con fare mesto.
Cùsa te gh’ée? Ta pàarat palàa sü! Disse con tono pacato il buon Giovanni.
Gh’ée no mìga vöia de fàn, ma la mia Marièta la mà viàa a la vigna del Ravinàsc, ghéri de fin’ n’mestée ma l’utréer sòo andàc a la bètula a bèef an bòt e…
Eh!? Chiese Luigi
Eh! Tra n’ bicèer e dùi paroli l’è pasà ‘l téemp!
All’ improvviso sulla lobbia apparve proprio la Marietta che intentata a stendere vide il marito di nuovo prodigo a perder tempo in chicchere e furiosa gli disse:
Ta sé pròpri ‘n gran margnifùn, ti cun li bali ta mandàt tüta la campàgna a remèngu!
Van, van Màriu parchè la Marieta la rüa cul vèscuf se ta fée mìga ‘l bràu.
Giorni dopo, verso sera, arrivò nella corte un altro proprietario con il suo mulo e il carro; sganciò quest’ultimo e si occupò dell’animale. La cosa non passò inosservata a Giovanni che, seduto fuori dal suo uscio di casa, vide che il carro era stato sistemato sulla parte di corte di sua proprietà e non mancò di fargli notare il fatto.
Ti Bèrtu! ‘L tò car l’è sü nel mè sìtu!
Ta sée pròpri rebambì, asserì con ironia Alberto, li l’è mè e l’èra iscì fin di tèemp del mè àaf.
Ma pòor làu, esclamò con fare arrabbiato Giovanni, li carti del nudèe li parlà ciàiar! Detto questo disse ad Alberto di aspettarlo li e si diresse in casa diritto verso la sua camera dove in un cassetto del comò, piacàa suta i müdàndun de lana, vi erano tutti i documenti notarili riguardanti la sua proprietà.
Giunse davanti al carro con mapi, mapin, üsufrüt’ e testamént per dimostrare la veridicità di quanto affermato; i due continuarono a discutere anche piuttosto animatamente fin quando dalla porta di casa sua uscì il vecchio Andrìn, considerato per la sua veneranda età di quasi 100 anni il “sindaco” della corte.
Il vecchio era il depositario un po’ di tutti i segreti di quel luogo e spiegò ai due come in realtà erano da interpretare le cose: il terreno su cui era parcheggiato il carro della discordia era in realtà di Giovanni, lui lo aveva ereditato assieme al resto (casa, orto e stalla ) dal padre; quest’ultimo l’aveva ottenuto per il cosiddetto usucapione da un vecchio proprietario che oramai da più di quarant’anni non viveva più a Tirano.
Il carro venne spostato senza denunce o interventi del Marescìal di Carabignèer, ma un fatto sul vecchio Andrea va raccontato.
‘l Andrìn era un reduce della prima guerra mondiale, conservava ricordi drammatici e tristi di quell’esperienza, e quando il Mussolini e il fascismo presero piede in Italia rimase vittima di nefasti presagi e andava dicendo: vedàri che Mussolini ‘l farà dagn in Italia e cun i òtri germanés i farà sultà fò na guèra… E lui, che la guerra l’aveva combattuta, sapeva quali orribili mali un nuovo conflitto avrebbe portato anche nella nostra piccola Tirano.
Ma le corti erano anche luogo di antichi sapori e profumi, alla vendemmia e durante la torchiatura nel vècc torcc a corda de la curt a turnu tücc i turciàva tücc i sa giütàva e tücc i tastàva ‘l bun vin e a la fin i dàva giüdìzi: ‘n pòo ciàiarin ma bun!
Quando in autunno le selve davano le preziose castagne era la volta la padelàda de braschèe, àff, avi, fiöi e neudìn, tücc a di fàli sultà fin che iera còci.
A dicémbri l’era ùra de fà sü ‘l ciùn, de fa becarìa,’l pòor ciùn dòpu avè sciuscà culùbia, farìna,farìneta e sarùn, ‘l dava lügàneghi, làrt, salàm, sanguì, cudaghìn e òtri ròbi buni e tücc i sa regàlava i tastarööi.
Nelle sere d’estate, dopo una dura giornata di lavoro, ci si ritrovava tutti su quelle panche in pietra, si parlava del più e del meno, si scrutava l’orizzonte per prevedere il tempo del giorno dopo, i bambini giocavano e le mamme cucivano.
Nelle fredde e buie sere d’inverno nelle corti regnava il silenzio, tutti erano nelle stalle a scaldarsi con il tepore degli animali. La vita nella corte un tempo era così, scandita dalle stagioni, dalle nascite e dalle morti, come quella che colpì una notte il nostro Andrea.
La mattina dopo, un cielo cupo sembrava voler dire che qualcosa era successo, le ante della piccola casa del vecchio “sindaco della corte” in quell’alba non si aprirono e tutti capirono. Le donne addobbarono quel piccolo altarino della corte con fiori e lumini; la Madonna ed il Bambino Gesù sembrarono dire "Ciao Andrea" e tutti cun na pacùndria n’tel cör lo accompagnarono nell’ultimo viaggio verso il cimitero.
Eccoli lì la Marietta, gli avi col cappello in mano, il Mario, il Giovanni e l’Alberto, i bambini a cui Andrea raccontava storie d’altri tempi, tutti a ricordare un uomo come tanti, uno della corte, uno che avrebbe lasciato spazio a quella piccola vita che cresceva proprio nella pancia della Marietta.
Oggi a distanza di tanti anni quelle corti sono lì, vi si vedono ancora i carri, qualche arnese appeso ai muri tutto ci ricorda il passato: quel passato che costituiva la vita dei nostri avi e dei nostri padri. Bello sarebbe far rivivere quei luoghi e quelle tradizioni, storie di famiglie contadine di un tempo, rivedere e risentire la voce, le storie e le vicende di questi personaggi che nella vita reale, in questo racconto, non hanno nessun riferimento a personaggi esistiti nella Tirano di ieri ma sono uno spaccato della vita nella corte.
E’ altrettanto positivo che oggi alcune case del centro storico, dopo anni di abbandono, sono al centro di importanti interventi di ristrutturazione: una parte di quella Tirano di ieri torna a vivere…
Ivan Bormolini
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