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venerdì 30 novembre 2012

MODI DI DIRE: "U de giùan u de vècc ta garée de maià sü ‘l carècc"

La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
Questa rubrica settimanale dei "modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.
Fin che la barca va lasciala andare,
fin che la barca va, tu non remare,
fin che la barca va, stai a guardare…

Così cantava a squarciagola Carlo. Il ritornello l’aveva sentito alla radio da bambino e gli era rimasto nella memoria fisso più di un chiodo da cantiere. Quel ritornello che cantava mattino e sera l’aveva messo in pratica. Era la sua “patente“, il suo modo di vivere. Lo sapevano tutti in paese.
Oramai trentenne era diventato come si direbbe al giorno d’oggi “un bamboccione“ . Viveva con i genitori, per nulla contenti, della vita condotta dal figlio. Quando aveva bisogno di soldi o di qualsiasi altra cosa li chiedeva ai genitori. Scarpe, calze, camicie, pantaloni, insomma tutto ciò che indossava non era frutto del suo lavoro. L’auto, la benzina, persino i soldi spesi in lussuosi alberghi con amiche erano spillati ai genitori che gestivano con grande sacrificio un ristorante rinomato.
Fare la bella vita, stare sulla barca del benessere senza preoccuparsi di nulla, lasciarsi trasportare dall’onda e dallo spirare del vento era il suo bel vivere. Diceva ai suoi amici: meglio pensare all’oggi, poi per il domani si vedrà.
Piero, passacarte e suo discepolo, aveva seguito la stessa filosofia. Intravedendo una strada, anzi un’ autostrada aperta e con pochi sacrifici e grandi agevolazioni s’era gettato a capofitto nella politica.
Con la politica erano arrivati i soldi e anche per lui il bel vivere. Due vite parallele, sia pur diverse, ma con la stessa filosofia. Carlo mungeva i suoi genitori e Piero i suoi concittadini.
Un bel giorno l’amico Antonio, contadino e gran lavoratore, al ritorno della vigna li vide seduti in un caffè in piazza Cavour. Erano eleganti, freschi come rose con alcune ragazze intenti a consumare pasticcini e gelati, ridere e guardarsi intorno con fare borioso e emettere sentenze sui passanti frettolosi e impegnati che transitavano presso quei tavoli.
Carlo, forse per far dispetto all’amico che passava di lì tutto sconcio di terra con la gerla in spalla, cantò a gran voce il ritornello.
Fin che la barca va lasciala andare,
fin che la barca va, tu non remare,
fin che la barca va, stai a guardare…

Mentre il politico Piero, con voce baritonale, faceva da contrabbasso con:
tu non remar…
tu non remar …
tu non remar…

L’amico si fermò, li guardò con compatimento poi disse: siete due mangia pani a tradimento! Poi con indice della mano destra puntato verso il cielo tuonò: ricordatevi che “U de giùan u de vècc garìi de maià sü ‘l carècc” . Avete fatto fino ad ora la bella vita con soldi, salute, donne, motori. Non avete conosciuto l’erba amara e legnosa dei carècc. Per ora siete fortunati, ringraziate il cielo!!!“. L’amico se ne andò, sotto il peso della gerla, brontolando.
Passarono alcuni anni. Le cose cambiarono. I genitori di Carlo, stanchi di quel figlio indolente , cacciarono di casa il “ bamboccione “. Finirono così per lui i soldi, le donne scomparvero dalla sua vita, vendette l’auto e andò in bicicletta. Stessa sorte toccò a Piero il politico. I cittadini si accorsero che l’uomo valeva una cicca. Invece di fare l’interesse dei cittadini faceva il suo. Ora anche per lui, niente cariche pubbliche, niente soldi, niente privilegi e auto per servizio. Insomma era venuto il tempo amaro anche per loro. Il loro pascolo non era più fatto d’erba fresca e abbondante, ma d’erba amara e legnosa: era venuto il tempo dei “ carècc“.
Per sbarcare il lunario avevano trovato, con la comprensione e la compassione di alcuni cittadini, un lavoro di operatore ecologico. Antonio li vide durante un loro servizio di ramazza. Con fare bonario disse: “Toh, toh, ma che bravi. Vedo che la vostra barca si è fermata. Remate, remate con la ramazza e la barca incomincerà ad andare. Non sbagliavano i miei vecchi quando dicevano “U de giùan u de vècc ta garée de maià sü ‘l carècc”. Spero che il detto funzioni anche per me perché ho fato fin’ora tanti sacrifici e adesso che sono anziano vorrei vivere senza lavorar troppo e con qualche soldino . Su, su ramazzate, sennò la barca si ferma”.
Ezio Maifrè

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