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giovedì 7 febbraio 2013

LE PAROLE DI UNA VOLTA: "serù" o "sarùn"

Al serùn o sarùn, a seconda dei dialetti, è un liquido giallastro che rimane nella "culdéra" dei caseifici, dopo che il formaggio è ormai nella "fassèra", un cerchio di legno che per un certo tempo gli darà la formas tipica. (Di Giac)
A quel punto la "culdera", una grande "pentolone di rame", capace di contenere alcuni quintali di latte, viene svuotato con un secchio, in apposite brente metalliche, così si faceva in passato, oppure in bidoni come si può fare oggi. In altri casi invece il siero viene usato per preparare la ricotta, prodotto che ormai oggi è in vendita nei negozi e nei supermercati e che nei nostri dialetti regionali si chiama "mascherpa" o"mascarpa". In pratica si riscalda il siero di nuovo e la ricotta si ottiene con un procedimento che non dovrebbe essere complicato, ma non ho mai visto fare.
La radice della parola "sérun" è più o meno simile nelle varie lingue derivate dal latino: in Spagnolo è "suero", in Francese "sérum", nei dialetti provinciali, a Bormio diventa "saròn" o "seròn" a Grosio e nell'Alta Valtellina. Due variati del Romancio dovrebbero essere invece "scharòn" e "scirun"; in Friulano invece "sir". Gabriele Antonioli, nel Dizionario Grosino, segnala un modo di dire riservato alle persone tirchie "L'à metù i man giò inde 'l seròn agru", ha messo le mani nel siero inacidito.
Nei nostri paesi il siero si mischiava per lo più al pasto quotidiano dei maiali. Quindi una volta pronto il formaggio alla casera lo si portava a casa con la brenta. Serùn è comunque una parola poco usata oggi da chi parla dialetto. Lo stesso si può dire per l'Italiano siero che in ogni modo si può sentire occasionalmente in altri contesti, e con altri significati.
Giac

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