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venerdì 29 marzo 2013

MODI DI DIRE: "L gh'à maiàa i libri la vàca"

La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
MODI DI DIRE: "L gh'à maiàa i libri la vàca"
"mindfrieze" flickr.com (cc)
Questa rubrica settimanale dei "modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone. 
Non ne voleva sapere. L’avevano sconsigliato tutti. Proprio tutti, anche gli amici.
Gli avevano detto, quasi supplicandolo. “ non partecipare a quel concorso letterario, non è roba per te “ . Niente. Marco si era fissato. Lui voleva, anzi doveva partecipare. Aveva qualcosa da dire, da esprimere, magari a suo modo, ma doveva farlo.
Mettersi in fila con altri, con quelli dal “ cervello fine “, con quelli che avevano frequentato il liceo e poi l’università , pareva una cosa risibile. Marco aveva frequentato le elementari e poi subito si era messo a lavorare nei campi. La famiglia era numerosa, di soldi nemmeno l’ombra e il lavoro nei campi serviva per sopravvivere alla bell’ e meglio. Nelle brevi pause del lavoro dei campi, si sdraiava presso un ruscello sotto a un grande salice e sognava. Sognava e pensava nella sua lingua: in dialetto. Nel suo linguaggio non mancavano parole per esprimere il suo pensiero. Poi, quando pensava le stesse cose in italiano, nella lingua che gli insegnava il suo maestro di scuola , tutto gli diventava più difficile, più insignificante, e i suoi sogni sfumavano come nebbia al sole.
Sappiamo tutti che la vita passa velocemente, specialmente quando il lavoro ti attanaglia, quando il tuo tempo è per gli altri. Si trovò così, anche a vent’anni, a sognare sotto quello stesso salice.
Sognava di poter partecipare a quel concorso letterario. Come fare ? Il suo pensiero gli parlava in dialetto, ma quella espressione non era permessa in quel concorso. Il concorso recitava espressamente : una poesia, scritta in Italiano.
Mancava poco allo scadere del giorno stabilito per la partecipazione al concorso quando incontrò per strada due suoi compagni di scuola elementare Bruno e Carlo. Bruno era figlio di un maestro elementare.
Aveva avuto la possibilità di frequentare il liceo poi l’Università con ottimo voti. Ora insegnava italiano in un istituto superiore. Carlo, dopo le elementari, aveva frequentato un corso da boscaiolo. Il suo fisico gracile purtroppo lo aveva costretto ad abbandonare quella professione e aveva intrapreso la strada della politica : era diventato consigliere Regionale. Dopo alcuni convenevoli Marco chiese a Bruno “ senti, io vorrei partecipare a quel concorso che tu sai, con una poesia. Sai però che non ho potuto studiare e non so esprimermi bene in italiano. Tu che ne dici. Mi consigli di partecipare ? “ Rispose con un sorriso bonario: ” Partecipa senza timore e scrivi come parli. La poesia nasce dal cuore. Non sono le parole che fanno la poesia, ma i sentimenti ” .
Se ne andarono, ma poco lontano sentì Carlo che a mezza voce diceva a Bruno: “Perché gli hai dato quel consiglio ? ‘L gh’à maiàa i lìbri la vàca !! Come può partecipare a quel concorso poetico se non sa l’italiano e la sua istruzione è rimasta scarsa? Andrà incontro ad una grande delusione” . Marco andò a casa contento perché sentiva d’aver ricevuto un incoraggiamento sincero da Bruno. La critica di Carlo non lo turbò, conosceva il carattere borioso dell’amico.
Sua madre stava cucinando polenta e salsicce per mezzodì. Aspettando il desinare andò in cortile a spaccar legna e, assorto nei suoi pensieri ,fece tardi, anzi tardissimo. Arrivò in cucina quando tutti avevano mangiato e il paiolo della polenta era vuoto, ma ancora caldo. Anche il formaggio era finito; a lato v’era solo la carta. Aveva fame e vide che nel paiolo era rimasto la crosta della polenta. Era bella rosea, calda , croccante. Con il coltello e con delicatezza la staccò dal paiolo a fettine, come fossero delle ostie e incominciò a gustarle. Erano deliziose, squisite , profumate. Erano buone da sogno. Ebbe un’ ispirazione poetica. Prese il lapis appeso al calendario di cucina , poi sulla carta da formaggio scrisse lentamente il suo pensiero in dialetto traducendolo faticosamente in italiano. Così canto l’uomo che, secondo Carlo, “ ‘L gh’à maiàa i lìbri la vàca ” :


Croste di polenta
L’amore che dono
è soffice polenta
ben cotta nel paiolo
del mio cuore.
E’ polenta su fuoco lento
che s’alza,
si gonfia, s’inarca
ed esplode in polle sorgive
d’amore.
E’ il frutto del mio cuore
quel cibo d’amore.
A tutti dono polenta
e in fretta finisce,
solo rimane la crosta
attaccata al paiolo
del mio cuore.
E’ la polenta migliore
la crosta nel paiolo,
voglio donare
il fondo del mio cuore.
Infine controllò che nessuna crosta fosse rimasta attaccata al paiolo. Le gustò tutte. Erano da sogno!
Piegò ordinatamente la carta di formaggio con scritto il suo pensiero poetico, la mise nel taschino del giubbotto. Il giorno dopo lo trascrisse ordinatamente su un foglio di quaderno e spedì la sua poesia all’indirizzo del concorso letterario. Non seppe nulla per due mesi. Un bel giorno passò il postino. Gli diede una elegante busta. L’aprì. Aveva vinto il primo premio di poesia di quel concorso.
Ezio Maifrè

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