La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire
dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
Questa rubrica settimanale dei
"modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in
gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.
Il campanaro, specie oramai quasi estinta, era colui che era incaricato di suonare le campane per ogni ricorrenza religiosa. Non solo, le campane, potevano essere suonate anche come segnale d’allarme e di pericolo. Ai nostri giorni il campanaro è quasi sempre sostituito da congegni elettronici che ad orari prestabiliti muovono dei motori azionando l’oscillare della campana. Il suono delle campane è ora comandato e programmato in automatico. Azionato a distanza persino con il cellulare.
Un tempo i reverendi sacerdoti davano ordine al sagrestano di suonare le campane per la funzione religiosa, ora sono le campane in automatico che ricordano ai reverendi che è giunta l’ora della funzione. Manca l’energia elettrica? Alcune campane non suonano più. Pochi giovani ora sanno suonare le campane manualmente. Pochi sanno mulsc li campani, cioè eseguire un’ operazione preliminare e delicata per far suonare una campana.
Don Bernardo, nell’ormai lontano ’55 me la insegnò. L’operazione consisteva nel far dondolare la campana fino al limite del suono.Ovvero la campana doveva dondolare senza che il pesante batacchio toccasse la campana. Raggiunto questo limite la campana era pronta per emettere un suono possente e regolare.
Nessuno avrebbe mai potuto tirare a strattoni la lunga corda, generalmente fatta in cuoio, per far suonare di botto la campana. La gravità della campana è un fardello da vincere gradualmente con il dondolio tirando la corda come fa il contadino quando munge la mucca. Prima con mano dolce contorna la mammella della mucca, poi tira e stringe la mano con vigore verso il basso. Dopo lo spruzzo di latte nel secchio, apre la mano. Lieve come una carezza la porta di nuovo in alto sulla mammella e ripete il ciclo.
In tal modo si suonava il Campanùn alla chiesa di S. Martino in Tirano. La fune di cuoio del Campanùn, penzolava immobile con le altre funi delle campane nel piccolo locale alla base del campanile. Don Bernardo ci dava l’ordine:” suonate ìl Campanùn”. Io e Luciano, dirimpettai e con la corda tra i nasi alzavamo le braccia appena sopra le nostre teste. Afferravamo la corda e poi alzavamo i piedi. A penzoloni e con il nostro peso la grande campana iniziava ad oscillare. Di poco la corda incominciava a muoversi verso il basso. Quando la corda incominciava a risalire abbandonavamo la corda. Appena incominciava a scendere l’afferravamo e con forza la tiravamo verso il basso . Avanti così, con regolarità e con escursioni sempre più lunga della corda fino a portare la campana al tocco.
Così si “mulsc li campàni” . L’operazione era lunga e faticosa. Se sbagliavamo la sequenza la corda della campana ci trascinava in alto appesi come salami. E così successe. Per essermi immesso in modo intempestivo e fuori sincronismo a “mulsc ‘l campanùn “ con tre miei amici, fui trascinato dalla corda fino al soffitto con il risultato d’un grosso bernoccolo e una caduta da due metri d’altezza.
Ezio Maifrè
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