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venerdì 21 giugno 2013

MODI DI DIRE: "l g'à sü pèl 'n dèl stùmach"

La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
MODI DI DIRE: "l g'à sü pèl 'n dèl stùmach"
"David" flickr.com (cc)
Questa rubrica settimanale dei "modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.  
Tirano, fine anni ‘40 . Novanta, cento, centodieci, centoventi,centotrenta all’ora, la moto 500 Gilera VGTSE otto bulloni pareva un razzo . I piedi di Luciano erano poggiati sulla targa, lo stomaco  era spianato sul serbatoio rosso, la testa l’aveva all’altezza del manubrio. Era tutt’uno con il suo otto bulloni che  sfrecciava sul rettilineo di Villa di Tirano. Quel tratto di stradone rettilineo i residenti lo chiamavano “ tirùn “ . Dopo più di due chilometri si concludeva con “l’ albera pina”, un  centenario e maestoso albero.

Proprio laggiù,  quasi in fondo al rettilineo,  la sua Gilera otto bulloni aveva toccato i centotrenta all’ora.  Arrivò come una freccia. Tirò tre colpi di gas, poi fece una scartata e nel polverone eccolo fermo e dritto sulla sella. Senza occhiali, senza casco, in camicia e in braghe corte. Roba da brivido, roba d’uno  coraggioso che ‘l g’à sü  ‘l pel ‘n dèl stùmach. I suoi occhi erano cerchiati di polvere e lacrimosi per il vento. Mise la moto sul cavalletto, si aggiustò la camicia nelle braghe e rise di gusto.  Era felice ! Aveva toccato i centotrenta su uno stradone dissestato e pericoloso.  I suoi amici che l’aspettavano in fondo al “tirùn “ dissero : “ questo si che è coraggioso, che  ‘l g’à sü ‘l pel ‘n dèl  stùmach ! “ .  

Nei giorni  seguenti aveva migliorato il suo record. Aveva spinto la sua Gilera  fino a scassare il tachimetro. Aveva rotto l’indicatore di velocità, aveva piegato la lancetta. Lo videro in moto a torso nudo per agevolare la resistenza del turbine d’aria. Lo sentirono gridare: “ ho toccato i centotrentacinque e oltre !! “ Tanti però si chiedevano  se Luciano avesse potuto fare il curvone sullo stradone prima del ponte principale di Tirano a centotrenta all’ora.  Lui, quella curva,  l’aveva già battezzata a centoventi .

Quella curva era molto pericolosa. Già due suoi amici avevano perso il controllo della moto ed erano andati a sbattere per la tangente contro il muro aldilà dello stradone. Sapendo che Luciano era un temerario, uno che ‘l g’à sü ‘l pel ‘n dèl stùmach gli chiesero se lui fosse in grado di fare “ il curvone della morte” a centotrenta all’ora. “ Ci provo “ disse sorridendo e contento per la sfida. Tutti i suoi amici si diedero appuntamento in piazza Marinoni, a lato del curvone la mattina dopo. Erano più di quaranta. Arrivò Luciano con la sua Gilera otto bulloni,  fumante e profumata. perché aveva messo dell’olio di ricino nel motore per agevolarne la lubrificazione. Questa volta, intuendo il pericolo, aveva indossato pantaloni di fustagno, camicia di flanella e guanti, però niente occhiali né caschetto. Due colpi di gas e poi disse "aspettatemi  sul lato interno del curvone".

Vado a Madonna di Tirano , all’inizio del vialone. Mi occorre un chilometro diritto per prendere velocità “. Altri due colpi di gas e un segno della croce e via ! Gli amici, stretti a grappolo,  aspettavano distanti dal muro dove molti si erano rotti la testa sbandando.  Ecco giungere il rombo della sette bulloni con Luciano. Era a stomaco piatto sul serbatoio , le scarpe sulla targa  e con il gas a manetta. Imboccò la curva inclinando la moto a dovere. Qualcuno disse che le sue orecchie toccavano l’asfalto. 

La velocità doveva essere più di centotrenta all’ora poiché la forza centrifuga lo portò molto all’esterno. Inclinò la moto finché il  cavalletto strisciò per un lungo tratto per terra facendo scintille. Toccò per terra il tubo di scappamento. Un sussulto e poi sbandò. La moto strisciò sullo stradone per una decina di metri sbattendo conto un albero. Poi saltò per due volte come un grillò e finì nel giardino di una abitazione. Si ruppero le due forcelle e si staccò la ruota anteriore.

Luciano, quando sentì la moto sbandare ebbe l’accortezza di lasciarsi cadere e a rotoloni arrivò a sbattere nei bidoni della spazzatura che gli operai del comune avevano lasciato il giorno prima. Non si fece quasi nulla, solo un ginocchio e un polpaccio scorticati e i pantaloni di fustagno sbrindellati. Gli amici soccorsero Luciano sanguinante , la cui unica preoccupazione era quella di sapere quale fine avesse fatto la sua Gilera otto bulloni. Ancora una volta i suoi amici gli dissero che aveva avuto coraggio da vendere, che ‘l gh’era sü ‘l pel ‘n dèl stùmach. E in effetti è così perché non mi risulta a tutt’oggi che il record di velocità a centotrenta all’ora in quel curvone sia stato superato.

Ezio Maifrè 

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