La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire
dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
Questa rubrica settimanale dei
"modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in
gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.
Tirano,
fine anni ‘40 . Novanta, cento, centodieci, centoventi,centotrenta
all’ora, la moto 500 Gilera VGTSE otto bulloni pareva un razzo . I piedi
di Luciano erano poggiati sulla targa, lo stomaco era spianato sul
serbatoio rosso, la testa l’aveva all’altezza del manubrio. Era tutt’uno
con il suo otto bulloni che sfrecciava sul rettilineo di Villa di
Tirano. Quel tratto di stradone rettilineo i residenti lo chiamavano “ tirùn “ . Dopo più di due chilometri si concludeva con “l’ albera pina”, un centenario e maestoso albero.
Proprio
laggiù, quasi in fondo al rettilineo, la sua Gilera otto bulloni
aveva toccato i centotrenta all’ora. Arrivò come una freccia. Tirò tre
colpi di gas, poi fece una scartata e nel polverone eccolo fermo e
dritto sulla sella. Senza occhiali, senza casco, in camicia e in braghe
corte. Roba da brivido, roba d’uno coraggioso che ‘l g’à sü ‘l pel ‘n dèl stùmach.
I suoi occhi erano cerchiati di polvere e lacrimosi per il vento. Mise
la moto sul cavalletto, si aggiustò la camicia nelle braghe e rise di
gusto. Era felice ! Aveva toccato i centotrenta su uno stradone
dissestato e pericoloso. I suoi amici che l’aspettavano in fondo al “tirùn “ dissero : “ questo si che è coraggioso, che ‘l g’à sü ‘l pel ‘n dèl stùmach ! “ .
Nei
giorni seguenti aveva migliorato il suo record. Aveva spinto la sua
Gilera fino a scassare il tachimetro. Aveva rotto l’indicatore di
velocità, aveva piegato la lancetta. Lo videro in moto a torso nudo per
agevolare la resistenza del turbine d’aria. Lo sentirono gridare: “ ho
toccato i centotrentacinque e oltre !! “ Tanti però si chiedevano se
Luciano avesse potuto fare il curvone sullo stradone prima del ponte
principale di Tirano a centotrenta all’ora. Lui, quella curva, l’aveva
già battezzata a centoventi .
Quella
curva era molto pericolosa. Già due suoi amici avevano perso il
controllo della moto ed erano andati a sbattere per la tangente contro
il muro aldilà dello stradone. Sapendo che Luciano era un temerario, uno
che ‘l g’à sü ‘l pel ‘n dèl stùmach gli
chiesero se lui fosse in grado di fare “ il curvone della morte” a
centotrenta all’ora. “ Ci provo “ disse sorridendo e contento per la
sfida. Tutti i suoi amici si diedero appuntamento in piazza Marinoni, a
lato del curvone la mattina dopo. Erano più di quaranta. Arrivò Luciano
con la sua Gilera otto bulloni, fumante e profumata. perché aveva messo
dell’olio di ricino nel motore per agevolarne la lubrificazione. Questa
volta, intuendo il pericolo, aveva indossato pantaloni di fustagno,
camicia di flanella e guanti, però niente occhiali né caschetto. Due
colpi di gas e poi disse "aspettatemi sul lato interno del curvone".
Vado
a Madonna di Tirano , all’inizio del vialone. Mi occorre un chilometro
diritto per prendere velocità “. Altri due colpi di gas e un segno della
croce e via ! Gli amici, stretti a grappolo, aspettavano distanti dal
muro dove molti si erano rotti la testa sbandando. Ecco giungere il
rombo della sette bulloni con Luciano. Era a stomaco piatto sul
serbatoio , le scarpe sulla targa e con il gas a manetta. Imboccò la
curva inclinando la moto a dovere. Qualcuno disse che le sue orecchie
toccavano l’asfalto.
La velocità doveva essere più di centotrenta all’ora poiché la forza
centrifuga lo portò molto all’esterno. Inclinò la moto finché il
cavalletto strisciò per un lungo tratto per terra facendo scintille.
Toccò per terra il tubo di scappamento. Un sussulto e poi sbandò. La
moto strisciò sullo stradone per una decina di metri sbattendo conto un
albero. Poi saltò per due volte come un grillò e finì nel giardino di
una abitazione. Si ruppero le due forcelle e si staccò la ruota
anteriore.
Luciano,
quando sentì la moto sbandare ebbe l’accortezza di lasciarsi cadere e a
rotoloni arrivò a sbattere nei bidoni della spazzatura che gli operai
del comune avevano lasciato il giorno prima. Non si fece quasi nulla,
solo un ginocchio e un polpaccio scorticati e i pantaloni di fustagno
sbrindellati. Gli amici soccorsero Luciano sanguinante , la cui unica
preoccupazione era quella di sapere quale fine avesse fatto la sua
Gilera otto bulloni. Ancora una volta i suoi amici gli dissero che aveva
avuto coraggio da vendere, che ‘l gh’era sü ‘l pel ‘n dèl stùmach.
E in effetti è così perché non mi risulta a tutt’oggi che il record di
velocità a centotrenta all’ora in quel curvone sia stato superato.
Ezio Maifrè
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