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domenica 19 gennaio 2014

MODI DI DIRE: "Beati i ültìm se i prìm i è unèst"

La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
MODI DI DIRE: "Beati i ültìm se i prìm i è unèst"
Questa rubrica settimanale dei "modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.
In parrocchia c’era stata una gran festa per celebrare il Patrono. La chiesa era traboccante di fedeli e il parroco, con un altro prete, unitamente ad uno stuolo di chierichetti, aveva celebrato una “ messa cantata “ da rammentare ai posteri tale era stata ricca di canti e musica d’organo.
In quella occasione il parroco aveva commentato una frase del Vangelo secondo Matteo. Quella frase era stata ripetuta con vigore e convinzione ricordando il gesto nobile di san Martino che divise, con fraternità e carità , il suo mantello in due donandone una metà ad un povero che chiedeva la carità. Quel nobile gesto rappresentava la carità verso i poveri, gli umili, gli afflitti, insomma gli ultimi. Il parroco aveva detto: “ beati gli ultimi, poiché saranno i primi a entrare nel Regno dei Cieli” e con le mani alzate aggiunse “gli ultimi sono quelli che in questa nostra gerarchia sociale non hanno avuto successo. Sono i maltrattati, i disprezzati, i dimenticati. Quelli saranno i primi ad essere accolti come i favoriti in Paradiso”.
Questo l’aveva detto anche Gesù, ma evidentemente l’appello ad essere tra gli ultimi per servire gli altri era rimasto quasi lettera morta. Lo notiamo anche nelle piccole cose d’ogni giorno dove prevale l’arrivismo, l’egoismo, l’arricchimento personale. E, caso particolare, il parroco ebbe modo proprio in quel giorno di verificarlo con i suoi fedeli. Il fatto può far sorridere, ma è significativo poiché dalle piccole cose si intravedono i “segni dei tempi “e il nostro egoismo.
Come da consuetudine nel giorno del patrono, oltre alle funzioni religiose, alle preghiere, il popolo gradisce far festa. In genere la festa popolare è accompagnata da una buona mangiata in compagnia. Per mezzodì, dopo la funzione religiosa, le pie donne e dei baldi giovani avevano imbandito, nella grande sala parrocchiale una lunga tavolata per festeggiare il Patrono. C’era di tutto. Ognuno aveva portato da casa del suo. Salsicce, vini , formaggi, torte. Insomma abbondava ogni bene. L’appuntamento a tavola era stato fissato per mezzogiorno e mezzo; circa tre quarti d’ora dopo il termine della funzione religiosa.
Bene! Terminata la funzione religiosa , in ordine sparso, buona parte della gente presente in chiesa raggiunse la sala parrocchiale per prendere posto a tavola. In un baleno i posti a sedere furono occupati e , come prefissato, a mezzogiorno e mezzo si iniziò a pranzare.” Chi c’è c’é, chi non c’è non c’è “. dice un vecchio adagio. Ma chi non c’era a tavola? Il parroco che si era attardato in sagrestia con il sacerdote, suo compagno di seminario, missionario in Brasile!
Intanto a tavola avevano iniziato con antipasti vari, poi polenta e salsicce accompagnati da buon vino, e via andare. Insomma alle ore 13. 00 i buoni parrocchiani avevano sbaffato tutto ed erano giunti al caffè.” Chi c’è c’é , chi non c’è non c’è. Elementare Watson!!!”.
Il parroco si era attardato in sagrestia con il missionario. Avevano parlato dei tanti problemi che affliggevano quella terra e in particolare della sua missione. Si era fatto tardi: circa le 13,10. Guardarono l’orologio e dissero: “è tempo d’andare a mangiare qualcosa, raggiungiamo la tavolata preparata dai miei parrocchiani. Quando entrarono videro l’allegra brigata vociante a tavola. Si guardarono intorno per poter scorgere il loro posto a sedere. Nulla! Il più pio dei parrocchiani, che si chiamava, guarda caso Martino, visto i due sacerdoti che si guardavano in giro stupiti, si grattò la testa e alzandosi in piedi tuonò alla gente della tavolata “ ohi, ohi, companeros , l’abbiamo fatta grossa. Ci siamo messi a tavola e abbiamo “ sbaffato “ tutto senza aspettare il nostro parroco e il missionario. Che il signore ci perdoni !“
Poi facendosi largo tra i commensali creò due posti a sedere e disse “fortuna che io ho messo in borsa dieci salsicce, due salami, un cotechino e un bottiglione di vino rosso da portare a casa mia per questa sera. Signor parroco si accomodi a tavola con il suo compagno. Dividerò le salsicce, il salame, il cotechino e il vino con voi come fece il buon san Martino. Però signor parroco è bene che si ricordi che in questo Mondo sono beati i ültìm se i prìm i è unèst.
Ezio Maifrè

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