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venerdì 21 febbraio 2014

MORTA PER AVVELENAMENTO DA PIOMBO L'AQUILA REALE TROVATA A GROSIO

Si attendeva l'esito degli esami per la conferma delle cause all'origine della morte, avvenuta a metà gennaio 2014, dell'aquila trovata da un gruppo di ragazzi, lo scorso 26 dicembre, lungo la mulattiera che da Grom porta allo Storile, a circa 1300 metri di quota nel comune di Grosio.

Dopo essere stato soccorso dagli agenti del Corpo di Polizia Provinciale, il rapace era stato portato presso il CRAS (Centro di recupero animali selvatici) di Ponte in Valtellina. L'aquila appariva debilitata, disidratata e presentava un’evidente sindrome neurologica, con paralisi degli arti inferiori.
La sera stessa del ricovero sono state effettuate le radiografie per valutare l’eventuale presenza di traumi ad organi interni, di fratture o di pallini da caccia per escludere episodi di bracconaggio, che hanno dato esito negativo. In base ai sintomi rilevati, si eraquindi ipotizzato che l’animale fosse avvelenato o intossicato in seguito all’ingestione di prede contenenti schegge di proiettili in piombo, ed è stata subito avviata una terapia mirata anche su consiglio dei veterinari dell’Università di Vienna in prima linea nel progetto internazionale di reintroduzione del Gipeto sull’arco alpino.
Nel giro di pochi giorni i campioni di sangue, prelevati al momento dell’arrivo al CRAS e inviati a laboratori specializzati, hanno confermato l’ipotesi dell’avvelenamento, evidenziando una percentuale di piombo nel sangue molto elevata, pari a circa 5 volte la dose considerata “patologica” per questi animali. Nei giorni successivi l’aquila si alimentava bene e sembrava recuperare le forze. Dopo circa 15 giorni all’improvviso le sue condizioni si sono aggravate.  Il rapace ha smesso di alimentarsi e durante la notte è deceduto. Nei giorni scorsi è stata effettuata l’autopsia, presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Sondrio, con il contributo del veterinario Alessandro Bianchi e dei biologi Maria Ferloni (Ufficio faunistico della Provincia) ed Enrico Bassi (esperto di rapaci e consulente del Parco Nazionale dello Stelvio).
Dalle analisi e misurazioni effettuate è emerso che l’aquila era una femmina adulta, di almeno 5 anni di età, quindi in piena età riproduttiva, e pesava poco meno di 4 chili, con apertura alare di 2,16 metri. L’accertamento necroscopico ha rilevato una grave degenerazione epatica e renale, compatibile con gli effetti determinati da intossicazione da metalli pesanti.
Questo episodio dimostra quanto sia elevato il rischio di avvelenamento nei rapaci che si alimentano di animali morti o debilitati, poiché possono ingerire residui di piombo contenuti nelle carcasse degli ungulati abbattuti con proiettili a elevata frammentazione (fino a centinaia di schegge), e in particolare nei visceri, che vengono abbandonati sul posto dai cacciatori, nonostante il regolamento provinciale preveda già da diversi anni l’obbligo di sotterrarli, proprio per evitare questi rischi.
Per questo motivo la Provincia di Sondrio e il Parco Nazionale dello Stelvio ritengono ormai imprescindibile l’adozione di provvedimenti efficaci che riducano il rischio di intossicazione, quali in particolare la sostituzione delle tradizionali palle e pallini di piombo con munizioni composte da altri metalli o leghe, obbligo già previsto per la caccia alla piccola selvaggina nelle aree umide delle Zone di Protezione Speciale e anche dal Parco Nazionale dello Stelvio nell’attuale regolamento per il controllo dei cervi nel territorio protetto.

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