Questa sera a Tirano verrà bruciata la vecchia secondo la tradizione che un tempo vedeva roghi delle sterpaglie in ogni contrada e con l'occasione bruciare quanto di inutile si trovava riassettando casa, stalla, fienili e orti. La natura che si risvegliava meritava un po' di pulizia che sembrava estendersi ritualmente a tutte le cose negative della vita.
Oggi il rogo della vegia è un rito recuperato da vari decenni dalla Banda cittadina che realizza il pupazzo che chiude il corteo, al quale i musicanti partecipano mascherati. Col buio, in un'area sicura al Rodun, il grande falò con la partecipazione di tanti bambini, genitori, nonni e zii. Non è una tradizione esclusiva di Tirano, ma qui è stata mantenuta ed è attesa e partecipata. Una piccola novità sta a testimoniare l'interesse delle nuove generazioni da quando gli alunni delle primarie realizzano un loro autonomo pupazzo della vegia e lo danno alla banda perché lo bruci insieme alla sua. Vi fu un tempo in cui anche qui, la vegia rappresentativa delle cose da eliminare veniva processata prima di essere condannata all'inesorabile rogo e il processo era organizzato con tanto di copione. Attorno alla fine della prima guerra mondiale c'era al santuario di Tirano un sacerdote di Sernio che un po' ovunque era stato aveva suscitato problemi fino ad essere arrestato per favoreggiamento. La sua avversione per il grande parroco patriota don Luigi Albonico era giunta a fargli scrivere, all'esterno della cappella che la città riconoscente gli aveva eretta nel cimitero e ben visibile dalla strada: "Fu liberale e garibaldino". Finì i suoi giorni a Como in una casa di riposo sotto l'ala vigile e fraterna di religiosi dediti alla cura dei sacerdoti problematici. Per le sue numerose stravaganze un anno fu preso di mira dagli organizzatori del rogo.
Virgilio Merizzi, fratello di don Rocco e don Severo scrisse un testo d'accusa per la sua condanna ideale al rogo. Fu cantato con l'accompagnamento della banda sull'aria della Canzone del Grappa. Per alludere con chiarezza e senza fare nomi, l'accusa è rivolta a "don Rattino" dal blasone degli abitanti di Sernio detti " Ratt de Seren". Se ne ricordano alcuno versi: "Don Rattino tu sei condannato/ sotto te questo rogo risplende/ non si sfugge alla sorte che attende/ chiunque spanda zizzania e livor". Versi formalmente ineccepibili e metricamente corretti che hanno radici nel popolarissimo decasillabo tronco tipicamente manzoniano (notissimo il 5 Maggio dedicato alla morte di Napoleone). Il prete non si diede per vinto, rispose con un altra composizione, il cui testo è andato disperso salvo il verso di chiusura "il Rattino alza il codino ed invita a baciar". Un modo indubbiamente elegante per conservare la sostanza del popolarissimo invito dialettale e la dignità necessaria per la veste dell'autore.
bcl
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