Era una sera d’inverno. Luciano stava facendo i compiti di grammatica che il maestro Marcucci aveva assegnato per l’indomani. Quella sera non avevo voglia di fare nulla, anzi giocherellavo con i tizzoni ardenti del focolare aspettando che Luciano terminasse i compiti per poi copiarli anche sul mio quaderno.
Così feci.
Mia nonna Virginia, vigile più di un vigile, si accorse della manovra. Prese il quaderno dove avevo copiato il compito di grammatica, stracciò la pagina e la gettò nel focolare. Poi mi prese un orecchio, me lo attorcigliò ben bene e mi raccontò questa storiella che la “ Rina “ le aveva raccontato.
“C’era una volta non tanto tempo fa un bambino di nome Carlo, figlio di contadini, che abitava in contrada Dosso.
Era un bambino bello,vivace, intelligente e con tanta voglia di studiare. Era bello perché aveva avuto la fortuna di nascere al Dosso; in quella contrada gli abitanti discendono dalla nobile famiglia Homodei e i bambini nascono tutti belli. Era vivace perché sin da piccolo aveva potuto rincorrere le lucertole che si nascondevano nei muri del Castelasc ( castello di S. Maria ) ; intelligente perché aveva sempre respirato la brezza fresca e sottile della selve di castagno della Cà dei Gatèi ( casa dei gatti ). Aveva anche tanta voglia di studiare perché suo nonno Arturo, che aveva fatto il contadino tutta la vita, gli aveva detto : “stüdia parchè la téra l’è bàsa e l’è fadiga lauràla!”( studia perché la terra è bassa ed è fatica lavorarla! ). Aveva un amico di nome Silvio che abitava nella contrada di Porta Milanese; era un ragazzo un po’ paciocco, non brutto ma antipatico alle ragazze del büi vécc; forse era anche intelligente ma non lo dimostrava mai.
Mentre Carlo studiava, Silvio passava le ore giocando al pallone e ascoltando le partite di calcio alla radio. Era l’anno 1940 e i due amici frequentavano insieme la quinta elementare. Il maestro Giocolitti aveva concesso per l’insistenza del padre di Silvio, ingegnere, che il figliolo stesse nei primi banchi con l’amico Carlo. Come i funghi che crescono sugli alberi e vivono succhiando la linfa, così faceva Silvio con Carlo.Quando c’erano dei compiti in classe Silvio copiava sempre da Carlo e il maestro pur accorgendosi stava zitto; pensava che Silvio essendo figlio di un ingegnere non poteva far fare brutta figura al padre. Fu così che Silvio superò l’esame di quinta elementare con il tacito consenso del maestro pur avendo appreso quasi niente. Alle scuole elementari aveva imparato l’arte di copiare e di approfittare della fatica altrui sempre e in ogni luogo. Frequentò le medie e copiò, frequentò il liceo e copiò , frequentò l’università e copiando a destra e a sinistra a trentacinque anni e con i capelli grigi riuscì ad avere “ ‘l tòch dé carta “( il pezzo di carta) di ingegnere come suo padre. Carlo. invece, terminata la quinta elementare, dovette accontentarsi di imparare il mestiere di meccanico.
Diventò un bravo meccanico: la fila dei suoi clienti era interminabile e tanti furono i ragazzi che da lui impararono l’arte. Passarono così gli anni, anzi ne passarono tanti perché i due amici diventarono vecchi, morirono e si trovarono nell’aldilà lo stesso giorno .Per andare in Paradiso, pochi lo sanno, occorre ancora superare un esame. Lassù vi è una grande sala con due porte, come una specie di ingresso per il teatro; da una parte c’è Lucifero e dall’altra c’è S. Pietro che staccano i biglietti d’ingresso. Chi va a sinistra va all’Inferno e chi va a destra va in Paradiso. Carlo e Silvio arrivarono nella sala e in mezzo alla quale c’era un banco di scuola. Lucifero e San .Pietro erano vecchi e stanchi ma salutarono i nuovi arrivati con un sorriso; Lucifero in segno di amicizia alzò il braccio sinistro e San Pietro il braccio destro.
Tutti e due avevano voglia di una tazzina di caffè. Ordinarono a Carlo e a Silvio di sedersi al banco , dando carta e matita dicendo: “ Fateci il progetto di una tazzina di caffè: tazza grande”. Carlo in un baleno progettò la tazza e sperando di andare in Paradiso la fece con il manico a destra, poiché si era ricordato che San Pietro aveva salutato con la mano destra e quindi avrebbe usato quella mano per bere. Silvio, non si ricordò più come era fatta la tazza grande , pur essendo ingegnere, e come sua consuetudine allungò il collo, cercando di copiare il progetto da Carlo. Carlo fu misericordioso come sempre , girò il foglio e lasciò copiare. Silvio copiò la tazza grande con il manico a sinistra. Lucifero e San Pietro si accorsero che Silvio aveva copiato, ma non dissero nulla. I due amici si alzarono dal banco, consegnarono ai vecchi carta, matita e fogli con il progetto della tazza. San Pietro e Lucifero si consultarono.
Poi parlò prima San Pietro e disse: “Carlo, tu hai fatto il progetto della tazza grande con il manico a destra, è quella che va bene per me; entra in Paradiso, vai a fartela costruire e portami il caffè d’orzo, che non ne posso più dalla voglia!” Poi tuonò Lucifero e disse :“ Silvio tu hai fatto il progetto della tazza grande con il manico a sinistra , proprio come va bene a me ; scendi all’inferno e costruiscila subito. Portami il caffè d’orzo, ma che non scotti !” I due amici varcarono le porte e non si videro mai più Silvio capì che copiare non conviene mai perché non si usa il cervello e poi si fa anche peccato perché si ruba il lavoro degli altri e chi ruba va all’inferno. Quella sera mia nonna , dopo avermi torto anche l’altro orecchio, mi fece fare il compito di grammatica e da quel giorno non ho più copiato.
Ezio Maifrè
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