Detto questo dirò che parlare del proprio paese è sempre piacevole specialmente per chi ha vissuto una vita intera amando, nel bene e nel male, la propria terra.
Un vecchio proverbio tiranese dice “ cùma ta la fée giù ta la màiat sü”. Il detto contadino si riferisce alla minestra e, in senso più ampio, alle scelte della vita; se le fai buone potrai godere di ottimi risultati altrimenti saranno guai per te. Stessa filosofia vale per la nostra Tirano. Si vuole una città bella , accogliente, di prestigio ? Ebbene, ogni cittadino nei limiti delle proprie possibilità e capacità,deve interessarsi e partecipare attivamente alla sua “gestione“.
Deve impegnarsi ad amare il proprio paese, a inculcare al prossimo il concetto che essa è parte attiva del nostro vissuto, che occorre ricercare tutte le azioni che tendono a promuovere il senso della bellezza e ricchezza della nostra terra, viceversa si avrà una città scialba, quasi un dormitorio o un posto di transito poco attraente per noi e per i nostri ospiti.
Non solo; occorre avere amministratori, operatori economici e turistici che abbiano nel loro DNA lo stimolo di “ far vivere “ l’aria di casa nostra, l’amore per il paese, il profumo delle nostre radici, delle tradizioni, della storia e della cultura del borgo, ricercare e mantenere la nostra identità percorrendo tutti i canali che portano i vantaggi del benessere e del turismo.
Un lungo treno marcia veloce e sicuro quando la sua strada ferrata non è tortuosa, se ha buoni locomotori che lo trainano e le sue carrozze sono in buono stato ; al contrario quando i binari sono logori e il treno è trascinato da un locomotore malandato con dei macchinisti che non sanno fare il loro mestiere , quel treno procederà con il detto marinaresco “ avanti adagio, quasi indietro “.
Chi vi parla è un anziano tiranese che ha seguito dagli anni ‘50 in poi l’evoluzione di Tirano e che ha sempre tenuto in preziosa considerazione i beni comuni della città.
Ricordo il lusso e la miseria dei tempi della mia gioventù; ho in mente il viale di Madonna , malamente illuminato , con i pochissimi “ lifròch “ ( fannulloni ) che passeggiavano incuranti delle critiche dei benpensanti tiranesi. Allora non si concepiva il tempo per passeggiare ; solo i “ terùn “ osavano calcare il lungo viale imitando il tradizionale “ struscio “ di casa loro.
Avevano ragione loro ! La loro esperienza di vita al sud teneva in considerazione anche i rapporti umani; noi eravamo grandi lavoratori ma un poco orsi.
Ai nostri giorni i viali sono percorsi da residenti e turisti e nessuno si sogna di chiamarli “ lifròch “ , anzi il luogo delle passeggiate è diventato uno dei salotti buoni di casa nostra.
Negli anni ’60 la nostra Tirano era povera, le opere di abbellimento del paese si facevano a rilento o addirittura non si ritenevano necessarie. Si cercava di dimenticare la miseria rinnegando persino il nostro idioma parlando nelle famiglie contadine un italiano distorto chiamato scherzosamente “l’italian del làres “. In realtà sentirsi poveri è piacevole solo per i Santi e il darsi da fare per aver le cose belle che giornali e televisione ci propongono in ogni momento è umano. Ecco perché, chi poteva, lasciava la propria abitazione rurale che spesso aveva i pregnanti odori forti delle “curt “ per costruire e abitare nuove e più comode case. Quella scelta forse è stata una fortuna nella disgrazia ! L’aver abbandonato la vecchia Tirano per costruire a dismisura agglomerati di abitazioni senza significato ( con solo poche eccezioni ) creando una “Tirano nuova” ha preservato il borgo storico quasi intatto, privo delle maldestre riattazioni di quei tempi.
Solo dopo gli anni ’80 si è posto rimedio alle trascuratezze della “Tirano nuova” spinti da un fermento turistico alimentato dal Santuario della Madonna di Tirano, dai nostri vicini Poschiavini, dal trenino Rosso del Bernina e dai visitatori dell’alta valle.
Veniamo ai giorni nostri; la “Tirano nuova “ , nata sgraziata, lentamente sta diventando piacevole grazie a continui “ lifting “. Nello stesso tempo, ma più lentamente, la “Tirano vecchia” , alla pari di una vecchia signora, si accinge a rispolverare i vecchi gioielli e mettersi in mostra.
I nostri amministratori hanno intuito che Tirano ha due cuori che pulsano in modo diverso, ma che devono integrarsi tra loro: il cuore della “Tirano vecchia” con i suoi palazzi, la sua storia e tradizioni e il cuore della “Tirano nuova” con le moderne strutture urbanistiche.
Il connubio dei due cuori dovrebbe rendere la città Abduana appetibile sotto il profilo culturale, turistico e residenziale. Possiamo dunque dire che “ Tirano è nostra creatura “ e siamo noi che la facciamo vivere oppure la distruggiamo. Tutto dipende da noi, dalle nostre scelte, dalla nostra voglia di fare. Saremo vincenti solo quando saremo tutti uniti negli intenti per raggiungere obiettivi comuni trascurando, per il momento, il nostro orticello. Ricordiamoci sempre: nessuno ci regalerà mai nulla, occorre conquistare tutto con le nostre forze”’. Auguro quindi buon lavoro a TUTTI.
Ezio Maifrè
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