Fin dalla sua comparsa nel XV secolo questo grano particolare venne chiamato furmentùn
(o formentone in una sorta di italianizzazione), anche se la pianta si differenzia molto da quella del frumento e dei comuni cereali, poiché essa, in effetti, appartiene e diversa famiglia, che è quella delle poligonacee.
Si potrebbe ipotizzare l’origine della voce furmént (frumento) quasi a sottolineare il rigoglio e la copiosità, dopo breve permanenza in terra, ben diversamente dal cereale che richiede un periodo molto lungo per la crescita e la maturazione dei chicchi, sia in senso dispregiativo di vile frumentum, un “cereale“ di poco conto.
Sicuramente più eloquente per capire le origini di questa pianta, dal complicato nome botanico di Polygonum fogopyrum sagittatum la denominazione corrente nella lingua italiana di “grano saraceno“, preferita al nome fraina, il cui uso è limitato a poche regioni.
In Francia l’arbusto, originario delle regioni asiatiche della Manciuria, era approdato mutuato da vari passaggi attraverso la Siberia meridionale, la Polonia e la Germania, paese quest’ultimo dove se ne registra la coltivazione nel Mecklemburg nel 1436 sotto il nome di Bukweten e nella regione dell’Eifel con la denominazione di Heenisch, cioè l’odierno Heidenkorn, vale a dire “ grano dei pagani”. In effetti se ne attribuisce l’introduzione in Europa ai nomadi di matrice non cristiana provenienti dalle regioni asiatiche, i quali si accontentavano di arrostirne i semi per cibarsi nei loro spostamenti. Il grano saraceno giunse in Europa anche attraverso le vie commerciali marittime, approdando dalle coste del Mar Nero, a Venezia e ad Anversa.
In Italia si registra nelle regioni del nord-est, dove aveva fatto capolino verso la metà del XVI secolo: a quel periodo corrisponde anche la prima documentazione in Valtellina, riscontrabile in un atto relativo alle proprietà della famiglia Besta di Teglio, dove si riscontra il nome di formentone.
La sua coltivazione in modo diffuso prende piede però solo nel secolo seguente. Interessante in proposito quanto segnalato da una studiosa emiliana circa l’introduzione del grano saraceno nel Ducato di Modena nel 1621 ad opera di un commerciante ebreo di nome Donato Donati.
"La capillare diffusione della nuova coltura nel continente deve essere avvenuta infatti attraverso persone che nella loro attività di commercio erano venute in contatto con popolazioni e realtà agricole diverse… ".
Certamente in Valtellina la produzione di grano saraceno ebbe il suo massimo fiorire prima del 1900 per poi scendere inesorabilmente fino quasi ad essere abbandonata intorno agli anni 1950; ora solo in poche località quali Teglio e Baruffini e Roncaiola, grazie soprattutto alla passione di alcuni giovani, alle molteplici iniziative della Accademia del Pizzocchero di Teglio e del Presidio Slow-Food, sta ora lentamente riprendendosi. Ed è bene che si riprenda la produzione di questo survegüü speciale poiché sappiamo che i chisciöl e i pizzoccheri hanno un sapore diverso se cucinato con il “furmentùn“ cresciuto dalle nostre parti. Essi acquistano un sapore particolare; non è azzardato dire che persino l’acqua locale usata per l’impasto delle farine fa la differenza e dà quel magico sapore che non si può certamente descrivere, ma che tocca le papille del nostro palato in modo speciale. Ogni brezza ha la sua carezza e il furmentùn di Baruffini, di Roncaiola e di Teglio accarezza il palato unitamente al buon vino locale.
A cura di Ezio Maifrè
(notizie storiche di Gianluigi Garbellini)
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