La storia del tiranese Fausto Sidoli, partigiano d’italia, nome in codice: “Paolo”. Fu tenente del genio navale nonché sommergibilista. (Di Giorgio Gianoncelli)
Il giorno 8 di settembre dell’anno 1943 Il Tenente del Genio Navale Fausto Sidoli si trova ricoverato all’ospedale militare di Massa Carrara per la visita di controllo in seguito ad una serie di ferite riportate durante uno dei tanti bombardamenti aerei angloamericani sul porto militare di La Spezia.
Già nel corso della mattina parlando tra ricoverati, tutti militari, qualcuno afferma di aver sentito voci di “importanti avvenimenti militari in tempi brevi”, infatti, nella serata, mentre sono in corso le visite dei medici in corsia, arriva improvvisa la notizia dell’armistizio. Il Tenente del Genio è sempre lì, nell’attesa della decisione del medico nei suoi riguardi che lo stesso Sidoli, prevede nel rientro a bordo del suo sommergibile (Somm H8), perché le ferite cucite e rimarginate non gli recano alcun disturbo.
Previsione sbagliata. Il mattino del 10 settembre, di buon’ora, i Medici dicono: “Nessuno può lasciare l’ospedale”; l’evento genera sospetto perché la notizia d’occupazione tedesca è arrivata anche in ospedale. Il Marinaio durante il giorno medita e pianifica la fuga, il suo letto è al 2°
piano e vicino alla finestra vista a mare, la notte la guardia è molto ridotta, in un attimo con le lenzuola annodate e affrancate è a terra, nel parco dell’ospedale; lentamente s’incammina verso La Spezia che raggiunge il mattino dopo, un po’ a piedi e un po’ con mezzi di fortuna.
Il Tenente entra in arsenale e lo vede tutto in disordine, non vede la Squadra Navale, poche persone si aggirano per i viali senza scopo e senza motivo, incontra il Guardiamarina Moioli originario di Milano con cui si consulta e assieme decidono di mettersi in abiti borghesi, abbandonare tutto e cercare di raggiungere le rispettive famiglie; salgono su un treno per Milano ma sentono che la stazione ferroviaria di Genova è occupata dai tedeschi, allora dirottano
sulla linea Fidenza - Fornovo – Piacenza nella speranza di trovare un treno per Milano e i due Ufficiali del mare si accomodano su un carro bestiame perché le uniche due vetture sono stracolme di passeggeri e soldati che vogliono ritornare a casa.
La prima amara sorpresa la incontrano alla stazione di Fidenza. Il treno è dirottato su un binario morto e sulla banchina sono schierati in bella riga soldati tedeschi armati. “Tutti a terra! Seduti per terra faccia al treno! Le donne e i bambini possono uscire dalla stazione”. Questi sono gli ordini
impartiti da un Ufficiale tedesco. A terra e seduti sono un bel numero di soldati e uomini in abiti borghesi. Il treno è rimosso e rimangono poche coppie di tedeschi a guardia.
Al Tenente Sidoli viene in mente di calcolare il tempo di percorrenza della coppia di guardia dall’inizio al termine del gruppo di uomini seduti e invita quelli seduti vicino lui ad imitarlo: camminare strisciando sulle chiappe quando i guardiani gli voltano le spalle e andare verso la fine della banchina per raggiungere i binari in direzione Milano.L’unico a seguirlo è Moioli, il compagno di fuga, mentre gli altri, presi dal panico sono rimasti lì.
Non appena raggiunto il binario con i tedeschi che risalivano la fila, senza esitazione il Tenente s’è messo in piedi a camminare lungo la sede ferroviaria. Non vede il suo compagno e non lo vuole perdere, trova un casottino di legno dove i ferrovieri solitamente lasciano gli attrezzi di lavoro, preleva una lunga chiave, una lanterna, un berretto e alcuni stracci, ritorna sui suoi passi a prendere il compagno e così attrezzati s’incamminano lungo la linea ferroviaria, senza che le guardie s’accorgano.
Fausto Sidoli a bordo del sommergibile H8e con alcuni commilitoni
Dopo qualche chilometro di cammino sulla strada ferrata, i due trovano un casello a ridosso di un passaggio a livello, si fermano per riposare, orientarsi e concordare come proseguire. Il Guardiamarina ha buone conoscenze in un paese dell’Appennino piacentino, a circa 30 chilometri da dove si trovano. Decidono di raggiungerlo. Camminano tutta la notte, ogni tanto si fermano per riposare, all’alba cominciano ad incontrare dei contadini che li assicurano che non ci sono
tedeschi in quell’area. Lungo la mattinata raggiungono l’abitazione degli amici, che è una villa in campagna in provincia di Piacenza della famiglia Borracce, industriali lombardi. I due sono accolti proprio da conoscenti importanti: li mettono a loro agio, cibo e letto comodo per dormire, poi, gli
fanno il resoconto della situazione generale. Questa ospitale famiglia amica dei genitori del Guardiamarina milanese, possiede una fabbrica nella città di Crema, quindi importante e tutelata dai tedeschi, ogni giorno per raggiungere la fabbrica, passano il ponte sul fiume Po, forniti di documenti della Commandatur tedesca.
Dopo alcuni giorni in quest’ospitale villa, i due sbandati sono forniti di documenti di lavoro e sull’automobile degli ospiti attraversano il blocco tedesco sul ponte e si trovano nella città di Crema; da qui partono un po’ a piedi un po’ con mezzi di fortuna, arrivano alle porte di Milano, si lasciano ed ognuno al proprio destino.
Fausto Sidoli s’incammina verso la strada che porta a Lecco e nelle prime ore della sera arriva stanco nel comune di Carnate e qui decide di salire sul primo treno che passa per Sondrio. Diciamo che è anche fortunato, perché un treno arriva da Milano e, stazione per stazione, nel buio della notte intorno alla prima ora dopo mezzanotte è alla stazione ferroviaria di Sondrio.
L’uscita dalla stazione ferroviaria è desolante, tutto è silenzio e buio, non si muove anima viva, i pochi passeggeri scesi con lui dal treno sono sgusciati invisibili nella notte, anche i ferrovieri sono chiusi nei loro uffici oscurati. Il giovane Tenente della Regia Marina di buona lena s’avvia lungo la
strada per Tirano nella desolazione disarmante del silenzio della notte tra le stelle, l’ombra della catena delle montagne e il guazzabuglio di pensieri tra il passato, il presente e quello che sarà il futuro.
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