Bisogna pur dire, tuttavia, che tale conquista non manca di qualche inconveniente.
- Il primo è che, ahimé, ci tocca lavorare di più prima d’esser messi a riposo: e quanto lamentevole sia quell’ “ahimé” ce lo dimostrano le proteste, le manifestazioni, i pronunciamenti sindacali, gli scioperi con i quali ci si oppone ai governi (a tutti i governi ) che per esigenze di bilancio provano ad innalzare l’età pensionabile. Di solito le trattative durano così a lungo che quando si viene ad un accordo ci si accorge che nel frattempo l’età media di vita si è ulteriormente allungata e tocca ricominciare daccapo con un nuovo tormentone.
- Un secondo inconveniente è la eccessiva medicalizzazione della vita. Controlli, check-up, screening, visite, vaccinazioni, diete, attività ginniche, prescrizioni, divieti, che pure costituiscono un utile progresso per restare in buona salute, in qualche caso appaiono esagerati, capaci sì di allungare i nostri anni, ma a costo di renderli pesanti o di creare una medico-dipendenza, che in soggetti ansiosi agisce insopprimibile come una droga. Per rendersene conto basti vedere la quantità di farmaci appoggiati su certi comodini e il numero dei ricorsi al medico curante per patologie insignificanti o anche solamente immaginate. Ma soprattutto certe esagerazioni nella richiesta di prestazioni sanitarie portano a far credere che la Medicina possa far risolvere ogni problema della vita, senza un nostro sforzo: basta una pillola.
- Un’ ulteriore considerazione sugli effetti indesiderati è correlata alla precedente : “Non si muore più come una volta”.
Molti di noi hanno assistito di persona o visto in un dipinto o in qualche rappresentazione teatrale o cinematografica la scena di un morente: lui steso sul letto, con accanto la moglie che gli tiene la mano… i figli e gli amici… qualcuno che dice il rosario e magari c’è anche il prete con la cotta bianca venuto a confortare e impartire i Sacramenti. L’agonizzante sussurra qualcosa e qualcuno si china per ascoltare meglio: sono le sue ultime volontà e le estreme raccomandazioni oppure semplicemente un sospiro “…un po’ d’acqua, per favore…”.
Questa scena scordatevela, non esiste più, come il tram a cavalli e la penna col calamaio.
Oggi, se ti capita qualcosa o accenni appena un malore, invece del prete (visto più come uno spaventatore che come un consolatore) si chiama il “118”; subito ti caricano sull’ambulanza e vieni rapidamente portato in una sala di rianimazione. Pronti i sanitari ti applicano un tubo in gola, attraverso un boccaglio a forma di museruola; indi ogni orifizio del tuo corpo, in alto o in basso che sia, viene occupato da cannule, cateteri o sonde; infine, mentre le tue braccia sono bloccate da aghi endovenosi collegati a molteplici flaconi da fleboclisi, almeno una quindicina di elettrodi viene applicata sulla tua pelle per spiare ogni tuo parametro vitale.
Se fai una mossa per far segno di voler dire qualcosa subito senti qualcuno gridare: “ Si sta agitando, dategli un sedativo!“.
E i tuoi parenti dove sono finiti? In alcuni ospedali non vengono fatti entrare, ma se sei fortunato di capitare in un reparto più tollerante e che ne lascia passare uno (uno alla volta per carità e per una sola ora), quello entra incamiciato da una ampia cappa verdolina, con un berretto di carta in testa, le scarpe avvolte in caloscine di plastica, ed una maschera di garza in faccia… Come fai a riconoscerlo? E come puoi parlare, come puoi dire a tua moglie, che so, che l’hai sempre amata oppure, più semplicemente, che hai nascosto i soldi dentro il materasso della camera degli ospiti?
Ti diranno: “ Ma è per il tuo bene… è per farti guarire… ”. Sì, d’accordo, forse ora scamperò, ma prima o poi ci ricapiterò e sarà l’ultima volta e per me sarà il modo più desolato e sconsolato per affrontare il passo più difficile, impossibilitato a parlare se non, forse, con un battito di palpebre o il movimento d’un dito.
Un corollario di questo stato di cose è la scomparsa da qualche tempo delle “ultime frasi famose” pronunciate in punto di morte da qualche celebre personaggio. Si dice che l’imperatore Traiano , prossimo a spirare, sussurrasse “ Ho trovato una Roma di mattoni, ve la lascio di marmo…” e che Adriano invece si facesse sollevare da due servi dicendo “Un Imperatore muore in piedi…”. Di Cavour è celebre il detto finale: “Libera Chiesa in libero Stato… ”.
Niente più di tutto questo: quando sei intubato non c’è modo di lasciare messaggi. Per coloro che nonostante le cure non ce la fanno, meglio s’adatta l’antico motto dei Carabinieri: “Usi a obbedir tacendo e tacendo morir…”.
Morale della favola: è difficile campare in questo mondo, ma anche andare nell’ “altro” non è facile.
Franco Clementi
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