Enrico Besta nacque a Tresivio, il 29 giugno 1874, da nobile famiglia.
Il padre fu Carlo Besta di Teglio, maggiore degli alpini; la madre Clelia Francesca, invece, apparteneva all’altrettanto importante famiglia dei Guicciardi. La cattiva sorte volle che una brutta caduta da cavallo portò alla morte il padre quando Enrico aveva soli sei anni: la vedova, già provata dalla prematura scomparsa di due figlioletti, ne ebbe un disperato dolore e concentrò il suo affetto sul suo unico figliolo rimasto.
Sin da piccolo il Besta si mostrò precocissimo negli studi; a quattro anni sapeva già leggere e scrivere correttamente, suscitando notevole stupore; a scuola si diceva che è sempre stato il primo della classe, attento ad apprendere ogni branca del sapere.
Oltre alle normali materie scolastiche amava interessarsi di botanica e zoologia ed al tempo stesso era appassionato di musica; studiò pianoforte quasi completamente autodidatta, e undicenne, già si compiaceva di comporre musica e versi.
Gli zii paterni affiancarono la cognata nel suo compito con ogni premura ;durante gli studi, in quel di Sondrio, venne attentamente seguito dallo zio Ginetto, che fu beneamato professore di tante generazioni d sondriesi divenendo poi preside presso l’istituto tecnico.
Concluse le scuole medie, il Besta venne accolto dallo zio Fabio in quel di Venezia; anche questo era docente alla Cà Foscari e veniva considerato il maggior storico e teorico della ragioneria italiana.
Successivamente passò all’università di Padova dove poco più che ventenne si laureò a pieni voti. A soli ventitre anni vinse il concorso per la cattedra di Storia del Diritto Italiano presso l’università di Sassari dando così inizio a quella che sarebbe stata una lunga carriera di docente nella quale attrasse molti giovani all’amore del sapere.
Il fatto di aver bruciato in pochi anni le tappe scolastiche, e di essere giunto all’insegnamento così in giovane età, non fermò la sua continua voglia di conoscere ed imparare sempre di più: a fianco della carriera di docente egli continuò a studiare e il frutto di questo lavoro lo si vede nelle opere che egli pubblicòquasi ininterrottamente fino ai suoi ultimi istanti di vita.
La sua fama di grande docente e studioso arrivarono a varcare i confini nazionali tanto che i suoi scritti furono presi in considerazione come materia di studio da parte di molti professori di atenei europei. A dimostrazione di questa grande stima, va detto che in occasione del suo quarantesimo anno di insegnamento (1938), cento professori appartenenti ad altrettanti atenei stranieri vollero rendergli omaggio partecipando ad una collezione di studi di diritto in suo onore; oltre a loro presero parte ai festeggiamenti anche numerosi giuristi italiani, oltre al Ministro dell’Educazione Nazionale che, presenziando la solenne cerimonia, ebbe modo di dire: “Saluto Enrico Besta il primo giurista d’Italia.”
I festeggiamenti per il suo cinquantesimo anno di insegnamento non ebbero il clamore di quelli avvenuti dieci anni prima; nel dopoguerra il ricordo dei numerosi lutti era ancor vivo tra molti. Le preoccupazioni erano tante e parecchi giovani erano spinti da passioni troppo lontane dalle pacifiche aspirazioni scientifiche e dal riconoscimento del loro valore.
Questa ricorrenza, che va definita anche come un importante traguardo, venne festeggiata dai famigliari, maper il Besta questo significava anche l’addio all’insegnamento e fu per lui un passo senza dubbio doloroso.
In quel frangente fu un grande sforzo per il festeggiato contenere la commozione di quell’amaro congedo; il professore, infatti, si sentiva ancora perfettamente in grado di diffondere il suo sapere e soprattutto vedeva a malincuore che la sua grande esperienza educativa profusa nell’educare i giovani in una materia così complessa potesse d’un tratto concludersi. Ancora una volta però il valore dell’uomo e del professore illustre ed elogiato vennero riconosciuti ed una legge particolare gli concesse di restare al suo posto in qualità di professore emerito.
Giunto al settantacinquesimo anno di età, sempre lucido e sempre efficiente, entrò definitivamente in pensione. Tuttavia continuò ancora il suo magistero come libero docente, felice di frequentare ancora la sua università e di sentirsi ancora attivo e utile fra i suoi studenti.
La sua fibra iniziava a dare qualche segno di stanchezza, ma lui non voleva cedere e si recava sempre all’università, quasi a far intendere che per lui ogni minuto rubato all’insegnamento era tempo sprecato; ogni ora passata lontana dall’ateneo gli pareva un’ora quasi perduta.
Nonostante la salute venisse pian piano a mancare lavorava sempre a ritmi quasi incessanti, figurando una titanica lotta contro quelle energie che si sminuivano con il tempo che incalzava. La morte lo colse in fervore di attività, quando era intento nel completare un’opera di grandi proporzioni, ovvero la storia di Milano, studio al quale affiancò anche la preparazione di molti importanti altri lavori tra i quali la seconda parte della storia della Valtellina, terra alla quale il Besta era molto legato.
Ivan Bormolini
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