Quest'antica tradizione è rinata alla grande nel tiranese ed è un evento da non perdere. E’ una pacifica e allegra invasione nelle strade cittadine con "le tòle" . E’ una esplosione di gioia dei bimbi, dei ragazzi e anche dei grandi.
Questa tradizione, per essere completa, dovrebbe continuare nel giorno successivo dando la “conferma“ casa per casa, come nei tempi passati, che il gran baccano della sera prima, ha risvegliato anche l’orso ed è uscito dalla sua tana. E se di orsi, al giorno d’oggi nei nostri boschi, non ce ne sono più sarà un “simpatico richiamo” per far uscire la gente dalle case e godersi il tiepido sole che lentamente scioglie il gelo.
LA TRADIZIONE
L’antica tradizione del “tirà li tòli” deriva dal mondo arcaico contadino. Fin da tempi lontani i ragazzi usavano, nell’ultima sera di gennaio, solitamente molto fredda e silenziosa, ”tirà li tòli”. I ”rais” correvano per le strette contrade della Tirano vecchia da “’n cò Tiràn fìn giù ‘n Pòrta Milanésa” gridando “ l’è fò ginée “ trascinando lunghe “filàgni de scàtuli de tòla” battendole energicamente con un bastone per far un gran “ bacanéri “.
Il lavoro nei campi era finito e ci si poteva riposare; i vecchi, nelle fredde sere di gennaio si rintanavano come orsi in letargo, al calduccio accanto al focolare cucinando il” chisciöl” e le caldarroste e bevendo il” vin brülè”.
Al sentire il frastuono delle “tòle“ si affacciavano sull’uscio della cucina; erano avvolti nel nero tabarro e la loro pelle era nera dal fumo del focolare. I vecchi sorridevano divertiti.
Quel rito era propiziatorio per il risveglio della natura, per il ritorno della primavera e per il rinverdire dell’erba dopo il gelo invernale, ma la festa non era finita.
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1 FEBBRAIO
Gli stessi giovani che la sera prima avevano scosso le contrade con il rumore assordante delle “tòle“ sul “rìsc“ delle contrade, al mattino presto si alzavano per portare il latte alla “caséra“.
Con piglio birichino e sveglio, continuavano la tradizione chiamando nelle case a gran voce gli amici e i parenti che si affacciavano assonnati alla finestra e gridavano a squarciagola “l’è fò l’urs da la tàna”.
Così si ripetevano per tutto il mattino, nelle corti e nelle contrade e a tutti quelli che incontravano, aggiungendo il ritornello sull’orso che diceva:“se ‘l fa nìgul ‘l tra ‘n sòlt, ‘n pèt e ‘n gìgul, se l’è serée par trénta òlti ‘l sa vòlta ‘ndrée”.
Vi era in tutti una gioia di vivere e anche se l’inverno non era ancora passato e il tiepido sole faceva a malapena sciogliere il ghiaccio e la neve ”e gutà li tèci“, quel fracasso del “tirà li tòli“ aveva destato in tutti il desiderio di primavera e di prati verdi.
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