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venerdì 28 gennaio 2011

"LE NOSTRE VIE": LA VIA FRANCESCO SAVERIO QUADRIO

La via intitolata a Francesco Saverio Quadrio parte dal lato sinistro di via Trivigno, proprio dove sorge la cappelletta votiva, e si estende per circa duecentocinquanta metri fino all’imbocco di via Noghere; pochi metri più avanti ci si immette direttamente nel tratto finale di via Della Repubblica.

Anche Tirano dunque ha saputo onorare quest’uomo che è considerato a pieno titolo una delle figure valtellinesi e italiane più dotte del '700, e che tra le sue importanti opere letterarie e storiche non ha mancato di ricordare egregiamente la sua terra natale scrivendo le “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Valtellina”.

Di Nobile famiglia, figlio di Ottavio Quadrio e Elisabetta Giucciardi, Francesco Saverio Quadrio nacque a Ponte in Valtellina il primo dicembre 1695.
Dopo aver completato il ginnasio, il quindicenne Francesco Saverio partì per Venezia dove entrò a far parte della Compagnia di Gesù prendendo i voti nel 1713 e seguendo così la strada intrapresa qualche anno prima dal fratello maggiore Luigi.
Seguendo l’ordine dei Gesuiti nel 1725 era già insegnante a Padova dove divenne amico di importanti personalità del mondo scientifico del tempo quali per esempio il Morgagni e il Vallisneri che con la loro cultura in campo medico e botanico contribuirono molto allo studio di queste discipline nel nostro paese.

Forse influenzato da queste amicizie il Quadrio si interessò da vicino al mondo della medicina e della botanica al punto che i suoi profondi interessi verso queste due materie lo portarono in breve tempo a pubblicare due trattati riguardanti la medicina e la botanica.
Sempre a Padova scrisse un lungo poema burlesco “Il Cavaliere errante” che però bruciò in tarda età assieme ad altre novelle ritenute sconvenienti per quell’epoca.

Nel 1731,in quel di Bologna, dove fu chiamato ad insegnare erudizione e lettere nel collegio dei Nobili, il Quadrio mostrò i primi segni di una prodigiosa prolificità di scrittura incanalandosi in un attento studio della poesia italiana.
Ben presto questo studio lo portò a scrivere due volumi a carattere didattico dove sostenne che la poesia italiana doveva riconquistare quel primato che le spettava di diritto tra la letteratura europea; solo in questo modo, sosteneva il Quadrio, la poesia italiana poteva uscire dalle aride secche in cui si era cacciata nel corso del '600.
Queste tesi, apparentemente innocue, non piacquero al più inflessibile e intransigente censore Gesuita Padre Fabretti che in quelle pagine vide chiaramente “il levarsi dei bagliori dell’inferno” e percepì a suo dire “gli aromi del peccato” ; dopo aver chiaramente asserito che l’opera conteneva modelli non consoni all’insegnamento e all’ordine dei Gesuiti il censore adoperando in malo modo il suo potere diede l’amara sentenza ovvero il divieto assoluto di stampa.

Da questo momento iniziò tra i Gesuiti e il Quadrio una sorta di grande contrasto su diversi e grandi temi: per il nostro conterraneo questo dissenso continuo divenne una questione personale che si protrarrà per diversi anni complicandogli la vita a volte in modo disumano.
In poco tempo Francesco Saverio tentò i ogni modo di liberarsi dell’abito gesuita; anzi, dice la verità chi afferma che la vita del Quadrio fu racchiusa tra la sua decisione adolescenziale di vestire l’abito gesuita ed i successivi sforzi per liberarsene rompendo con la Compagnia di Gesù: a tal proposito Quadrio si rese conto della leggerezza con cui in giovane età prese quella decisione e per questo più avanti negli anni ebbe modo di affermare: “Con la leggerezza propria dei giovincelli che non arrivano per l’età a penetrare col loro discernimento la sostanza e il midollo”.

Tornando alla decisione della censura, nei primi momenti il Quadrio non potè far altro che inchinasi al volere del Fabretti; nel 1734, approdando a Venezia, ebbe modo di conoscere l’editore Cristoforo Zane e mostrandogli la sua opera, prudenzialmente purgata dalle parti ritenute incriminate, lo pregò di non pubblicarla; lo Zane fece l’esatto contrario, e nello stesso anno uscì con lo pseudonimo di Giuseppe Vittorio Andrucci l’opera “Della poesia italiana” che il Quadrio regalò subito come sua. Subito si rimise al lavoro e in lui prese corpo l’idea di una più ampia e sistematica ricerca sui caratteri comuni a tutta la poesia universale al fine di poter meglio mostrare il primato di quella italiana.

Fortunatamente l’opera passò presso l’Ordine per la licenza di stampa; apparentemente, dunque, i Gesuiti mostrarono un atteggiamento più morbido nei confronti del Quadrio ma dietro quella che probabilmente possiamo definire una farsa montata ad arte contro lo scrittore gesuita si nascose un tranello che portò allo sventurato valtellinese molte tribolazioni sia morali che fisiche.
Fu in poco tempo oggetto di “malignissime persecuzioni”: venne umiliato a tavola, il sarto si rifiutò di confezionargli gli abiti e i preziosi libri, per lui linfa quasi vitale, vennero fatti sparire o addirittura cancellati in alcune delle parti più importanti.
A fronte di queste vessazioni il Quadrio impoverito e malandato intraprese viaggi tra Bologna e Milano, passò dalla Francia alla Svizzera sempre vessato da quei Gesuiti che lui non esitò a definire affetti da “poltroneria intellettuale”; arrivò al punto di chiedere al Papa di uscire dall’ordine ma gli venne negato.

Nel frattempo, nonostante la continue lotte contro le esasperazioni che gli procurarono i Gesuiti, portò a termine il primo volume dal titolo “Storia e ragione di ogni poesia” che completerà, tra il 1749 e il 1752, con l’uscita dei due successivi tomi firmati non più come padre gesuita, ma come abate ordine al quale nel frattempo ne era divenuto membro.

Arrivato all’età di sessant’anni il Quadrio poteva essere considerato un intellettuale di grande valore ma in serie ristrettezze economiche e sicuramente in declino fisico; è in queste condizioni cheintraprende la scrittura de “Le Dissertazioni critico-storiche intorno alla Valtellina” dedicandole al Papa Benedetto XIV.
Riuscito a metter mano nell’archivio del Notaio morbegnese Fontana, trovò una miniera inesauribile di documenti ed in poco tempo diede forma a questa grande opera; ogni giorno consegnava al tipografo una pagina manoscritta insieme alle correzioni apportate sul foglio del giorno precedente. Questa catena editoriale di montaggio gli permise, nel 1755, di completare il primo volume dedicato alla storia civile della valle.

Da subito non ebbe critiche positive al suo lavoro soprattutto da ambienti milanesi e comaschi; disse a tal proposito lo stesso Quadrio: “Si lamentano che nella mia storia fo comparire i Valtellinesi per li primi del mondo, intanto che gli altri italiani paiono tanti co...”.
Ma anche in valle non ebbe quel successo atteso tanto che in una lettera al cugino Giannantonio Quadrio Brunaso scrisse: “Asini”, “ubriachi”, “superbi”, “invidiosi”, “maligni” questi valtellinesi... ”.

Intanto esce il secondo tomo nel quale si parla della storia ecclesiastica della valle; per il terzo di 400 pagine e dedicato alle biografie dei personaggi valtellinesi, venne pubblicato postumo: l’autore, il 21 novembre 1756, morì povero, senza un soldo e senza grandi onorificenze. Venne sepolto in una tomba nella chiesa di S. Alessandro, ma oggi di quel sepolcro non vi è più traccia in quanto lo stesso venne smantellato dopo l’editto napoleonico di S. Cloud del 1804.

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