Dove sta il problema? Presto detto e forse anche capito. I nostri vecchi, pur non vivendo completamente dei frutti della terra, integravano i loro magri guadagni con la raccolta del fieno o con la semina di patate o segale in montagna. Per questo sono nate tante baite in montagna con il relativo pezzo di terreno coltivabile strappato alla forza invadente del bosco.
Ora il mondo è cambiato, le mucche sono poche, le patate e la segale in montagna non si seminano più. Pace e amen! Però i prati e i campi sono rimasti, o almeno c’è chi faticosamente, in questi ultimi anni, ha salvato i prati dal lento avanzare del bosco. Non mi piace parlare in prima persona, ma io sono tra quelli che si sono dati da fare in tal senso, pur non avendo mucche e quasi nessuna esperienza di contadino. Ho tagliato per anni, ogni anno almeno due volte, l’erba dei miei prati in quel di Ronco al solo scopo di rendere pulito il sito da erbacce e arbusti. Non ho fatto l’uovo fuori dalla “cavàgna “! So di non essere l’unico, anzi sono una della “ ròscia “ di quelli che si arrabattano per dare ancora una parvenza d’ordine al maggengo.
Ma attenzione! Quel lavoro sacrosanto che noi facciamo due volte all’anno se non tre, contiene un seme di sconforto che fa venire le lacrime agli occhi. Tagliamo l’erba dei prati, la facciamo seccare, poi rastrelliamo bene i prati e … poi ? Poi il fieno lo ammucchiamo e lo lasciamo marcire su un lato del prato.Non è forse anche questa una “ ricchezza “ buttata al vento, che potrebbe essere utilizzata se ci fossero dei canali giusti d’utilizzo? Altra considerazione che naturalmente la capisce solo chi la prova: le persone anziane, le cui forze ormai sono al lumicino chiedono in ogni dove se possibile trovare qualche contadino che possa falciare quei prati. Ti senti rispondere che quel lavoro non rende. Se insisti, quasi come fosse invocazione, vedi il contadino sbuffare e poi, quasi stesse per partorire un grossissimo sacrificio ti dice: “ quando hai falciato i prati, hai fatto seccare e raccolto tutto il fieno in un mucchio, se ho tempo vengo e te lo porto via e non ti chiedo nemmeno una bottiglia di vino.” Bontà sua!
Mi sono domandato tante volte, sudato e seduto sul grande mucchio di fieno idoneo per il mantenimento di due mucche per l’intero anno, se stessi buttando al macero qualcosa di utile e forse prezioso. Una volta, forse per il gran dolore della schiena a causa dell’età poco consona a tale lavoro, mi è scappata una “ saràca “.
Si dirà: “ Cosa ci vuoi fare; di mucche a quattro gambe ce ne sono poche in valle e il fieno non possiamo mangiarlo noi”. Sì, sono anch’ io convinto che, per ora, in Italia il fieno non lo mangeremo, ma di mucche ce ne sono ancora poiché beviamo il latte. Quel fieno buttato e fatto marcire potrebbe semmai essere venduto. Penso anche a qualche Ente montano, a qualche Associazione o a qualche contadino capace d’organizzarsi o di organizzare una squadra di falciatori attrezzati con mezzi moderni al fine di “venire incontro “ a coloro che quel lavoro non lo possono più fare perché anziani e fisicamente non idonei. Quel fieno potrebbe essere venduto nei giusti canali. E’ pensabile anche un compenso dato dal proprietario dei prati come integrazione al lavoro di sfalcio e raccolta nel caso di siti impervi.
Il risultato sarebbe la tutela del territorio che altrimenti, con il tempo, andrebbe perso poiché la forza della natura è inarrestabile.
E’ desiderio di molti preservare ciò che i nostri vecchi ci hanno lasciato e che i siti non diventino cimiteri della fatiche dei nostri avi o siti di archeologia rurale montanara. Io credo che qualcuno di buona volontà possa raccogliere il messaggio. Credo proprio che i prati di molti siano a diposizione e in ultima analisi non scordiamo mai che il turista, quando entra nel nostro paese, ci giudica per quello che vede. Inutile indossare camicia e pantaloni nuovi quando non ci tagliamo mai la barba e non ci laviamo.
Ezio Maifrè
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