In quel tempo, Gesù passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
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Ho avuto la fortuna di trascorrere la scorsa settimana ospite del Sacro Eremo di Camaldoli. Con due amici sacerdoti abbiamo condiviso i tempi di preghiera dei monaci dell’Eremo, lasciandoci guidare dalla loro liturgia sobria e pungente, dai lunghi tempi di silenzio e dalla bellezza disarmante dei paesaggi dalla foresta di Camaldoli.
Rileggendo il brano di Giovanni che la liturgia ci propone in questa nuova domenica del percorso quaresimale, mi è venuto spontaneo pensare agli eremiti che ho conosciuto pochi giorni fa. Più di tutto, più della sobrietà della loro vita, del silenzio, della radicalità, delle lunghe ore di preghiera, mi ha colpito il loro sguardo. Pulito, limpido, cristallino. Mi è venuto spontaneo pensare che per quel cieco Gesù abbia sognato uno sguardo così.
Per leggere correttamente il brano del cieco nato, penso sia importante chiarire che qui si sta parlando di me e non degli altri.
Io sono quel cieco.
Io che leggo e mi faccio raggiungere da questa Parola sono quel cieco.
Io che continuo a sbattere nel buio delle mie tristezze ammuffite e non accetto di aprire porte e finestre per far entrare la Sua luce.
Io che sto per annegare nelle mie fatiche e continuo a pretendere di salvarmi tirandomi su per i capelli, piuttosto che chiedere aiuto.
Io, se ho il coraggio della verità, sono quel cieco che si lascia guarire.
Strano gesto quello di Gesù: “sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco” (v.6). E’ il fango della nuova creazione, fatto con la terra e il respiro stesso del Figlio di Dio. C’è un nuovo impasto, un compimento, una perfezione riportata all’origine della sua bellezza. Ma la cosa straordinaria è che questo gesto non guarisce il cieco all’istante! L’opera di Gesù non è magica o automatica, ma richiede la partecipazione attiva del cieco: “Và a lavarti nella piscina di Sìloe” (v.7).
Nelle mani di Gesù non siamo dei burattini invertebrati da pilotare e manovrare. La fede non nasce da una semplice reazione chimica tra la sua grazia e mia miseria. C’è bisogno di una risposta libera al progetto liberante di Dio. Se il cieco non avesse accettato di correre alla piscina di Sìloe per lavarsi, sarebbe stato solo un cieco con gli occhi pieni di fango!
Allora coraggio, cari amici! Lasciamo che la potenza della Parola strappi la cecità ai nostri occhi. Lasciamo che la luce di Cristo illumini l’ombra che ci abita, schiarisca le nebbie delle nostre mediocrità.
Buona settimana
don Roberto
robertoseregni@libero.it
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