Quel giorno tutti piangevano per la commozione. Mia nonna, colta da una mistica forza, rimescolava la polenta nel “paröl” (paiolo ) con il vigore d'una capra impazzita aggiungendo a fiotti lacrime di commozione nella farina bollente. Il suo singhiozzo si alternava allo sbuffo caldo di vapore che si sprigionava dai crateri della polenta gialla.
Fuori, sulla strada , alcuni passanti indicavano con reverenza il Crocefisso in ferro della “Seconda Croce” commentando a fil di voce il prodigioso fatto avvenuto.
Più su, Michelìn (Michele) il boscaiolo, armato d'ascia ,vibrava i suoi poderosi colpi su un grosso e antico ceppo. Ogni due colpi interrompeva il suo forsennato lavoro e con la mano sinistra si asciugava le lagrime e diceva “Sàntu Diu, pödi mìga crèdach, l'è 'n miràcul, l'è 'n miràcul! (Dio Santo, non posso crederci, è un miracolo, è un miracolo!)
Ascoltate quello che era successo in quel di Ronco.
Io allora ero piccino e monello, e come tutti i bambini monelli sapevo approfittare di questi momenti magici e di commozione che hanno i grandi. Proprio così, poiché anche i grandi sanno piangere per amore e per dolore.
Io, monello impenitente, quel giorno approfittai della distrazione di mia nonna per arraffare con la velocità di un gatto nostrano il prezioso formaggio affettato steso sul tavolo e pronto per essere versato nel paiolo bollente della polenta.
Ora che ho confessato la mia colpa e sono più leggero d'animo vi racconterò il fatto miracoloso a patto che questa sera i bambini monelli diano un bacio a papà e mamma e anche ai nonni. Patto fatto? Ecco la storia!
Vicino al “büi vécc” (fontana vecchia) in contrada Trivigno abitava Lorenzino.
Era un bambino vivace e intelligente, pieno di amore per la natura e per i suoi amici, ma sfortunatamente quando aveva appena dodici anni, si era ammalato.
Le sue gambe non lo reggevano più ed era costretto a stare in una carrozzina a rotelle. Le sue gambe ormai senza forza non potevano più portarlo a spasso tra le belle selve di castano della “Cà dei Gatèi”( Casa dei gatti ) , nè tra le belle querce della valle della Ganda, nè a bere l'acqua miracolosa del "funtanin de Runch"( la piccola sorgente di Ronco ). Malgrado ciò Lorenzino non aveva mai smesso di pregare il Signore che lo aiutasse a guarire.
Aveva per amico un grande merlo chiamato Rosito che gli faceva compagnia con il suo canto lungo e modulato e lo teneva sempre allegro.
Papà Renzo, buono e sempre sereno, quando andava in montagna per caricare le “priàle” (carro a traino) di fieno deponeva Lorenzino a “titòla” (a cavalcioni) sul suo cavallo di nome Drago, mentre lui, ormai anziano, si faceva trascinare attaccato alla coda.
Il merlo Rosito volteggiava sopra di loro e a volte planava tra i ciuffi di Drago che spazientito nitriva furibondo mostrando i denti gialli e taglienti.
Solo così, a cavallo di Drago, Lorenzino poteva vedere il bosco, i fiori, gli uccelli che tanto amava.
Un bel giorno, come al solito, papà Renzo caricò a cavallo Lorenzino e tutti e due si avviarono verso Ronco.
Il merlo Rosito si appollaiò sulla grande criniera di Drago. Papà Renzo fece un nodo sulla coda del suo cavallo e vi si attaccò come ci si attacca a un tram.
Drago, cavallo di nome e di fatto, in un baleno giunse a Ronco con i passeggeri e come suo solito si fermò senza ordine del padrone. Sapeva che in quel luogo avrebbe trovato biada e acqua a volontà, mentre il suo padrone avrebbe trovato la solita caraffa di vino buono della nonna Virginia; Lorenzino avrebbe giocato con il merlo Rosito tra i grandi alberi di tiglio. Arrivati lassù , papà Renzo prese Lorenzino dal dorso del cavallo e lo pose sopra un grande tronco che fungeva da panca nel piazzale.
Dovete sapere che a Lorenzino piacevano i ciclamini e in quel luogo i ciclamini, non mancano mai. Dovete anche sapere che a Ronco c'è un vecchio crocefisso chiamato “Il Cristo della Seconda Croce” venerato da molto tempo da tutti i passanti.
Più a valle, sempre sulla stessa mulattiera , ve n'è un altro chiamato "Il Cristo della Prima Croce". Vi siete chiesti perché ci sono tanti Crocefissi disseminati lungo le mulattiere di montagna? So che non tutti lo sanno, allora ve lo dirò io !
I nostri nonni erano poveri ma erano timorati di Dio.
Quando andavano o tornavano dalla montagna con o senza il cavallo, carichi del loro "rutsàch" (zaino), la loro consolazione dopo la faticosa salita o discesa era quella di vedere il Signore, di ringraziarlo per avere ancora il prezioso dono della salute e per averli protetti nel loro duro lavoro. A quei tempi, tutti i bambini buoni, arrivati sotto la croce, raccoglievano un fiore, spesso era un ciclamino e lo deponevano nel vaso sistemato tra i piedi del Signore. Così era solito fare Lorenzino perché aveva imparato dal suo papà e il suo papà dal suo nonno!
Anche il merlo Rosito era solito ringraziare volteggiando e cinguettando intorno al crocefisso. Quel giorno Lorenzino vide il Crocefisso della "Seconda Croce" con il vaso vuoto senza ciclamini. Il cuore buono e semplice di Lorenzino ne soffrì.
Il suo pensiero fu subito quello di cercare dei ciclamini per portarli al Signore.
Aimè! Lorenzino in quel momento era solo. Papà Renzo era in cucina che aiutava mia nonna a preparare la polenta e il merlo Rosito volteggiava nei prati in cerca di cavallette.
Fu così che Lorenzino si trascinò per oltre cento metri nel bosco sorreggendosi solo con le mani alla ricerca di ciclamini. Con grande fatica ne raccolse un bel mazzetto.
Ahimè! Nel ritorno cadde in una buca profonda e svenne.
Era adagiato accanto ad un masso, un rivolo di sangue gli usciva dal naso, ma il mazzo di ciclamini era ancora stretto nella sua mano. Papà Renzo, quando ebbe finito di aiutare mia nonna, andò sul piazzale e quando non vide Lorenzino si allarmò.
Gridò a gran voce, ma Lorenzino non poteva sentire.
Il merlo Rosito intuì tutto (fu lui o lo mandò il Signore?) e con un ampio giro sopra i boschi vide Lorenzino svenuto, si posò sulla sua fronte cinguettando, ma Lorenzino era immobile come fosse morto.
Con il becco, il merlo Rosito, prese un ciclamino dalle mani di Lorenzino e volò tra gli alberi di tiglio di Ronco. dove mia nonna e papà Renzo gridavano angosciati.
Appena videro il merlo Rosito volteggiare con il ciclamino nel becco capirono subito, lo seguirono tra gli alberi e trovarono Lorenzino svenuto, sanguinante ma vivo.
Giunse anche Michelìn che di mestiere oltre al “burelée” ( boscaiolo ) faceva anche l'infermiere e che medicò Lorenzino dalla ferita.
Ecco! Nel cielo sereno si sentì un grande tuono, come il tuono di un temporale.
Videro il merlo Rosito volteggiare alto nel cielo con il ciclamino nel becco, calarsi in picchiata sul vasetto vuoto dei fiori posto sotto i piedi del Signore della Seconda Croce e depositare il ciclamino di Lorenzino.
Ancora oggi, chi passa in quella mulattiera, e si ferma sotto la grande Croce troverà quel ciclamino, che a suo tempo sboccia e sembra non morire mai.
Quello, ricordatevi sempre, è il ciclamino di Lorenzino.
(da il libro “storielle tiranesi “di Ezio Maifrè )
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