Seguono normali giorni di navigazione, di giorno in immersione e di notte in superficie. Ho ancora il tempo di medicare un paio di volte i nostri feriti e finalmente siamo a Taranto in arsenale. Un frettoloso saluto ai feriti che presi in consegna da personale competente viaggiano verso l'Ospedale.
Quando poi, terminata la guerra, e divenuto padre di famiglia, un mio figlio deciderà molto presto di voler diventare medico, mi viene il dubbio che dai miei cromosomi sia partito un impulso ai cromosomi di mio figlio in relazione alla mia esperienza "medica" effettuata sul sommergibile Mocenigo in una ormai lontana missione di guerra nel Mediterraneo: e che l'impulso sia stato valido, dato che è diventato un ottimo medico.
La maggior parte dell'equipaggio è inviato in licenza, ed io sono destinato a rimanere a bordo per seguire i lavori di riordino e di riparazione. Dopo una quindicina di giorni vengo anch'io sostituito per il rientro del D.M. e vengo inviato in licenza. Parto con il mio pacco di caffè e con la lattina di olio che è un dono assai gradito alla mamma ed a mia sorella. Sette giorni di licenza passano in fretta, poi devo raggiungere Merano dove parte del nostro equipaggio è in riossigenazione, e terminati gli altri sette giorni siamo di nuovo in viaggio per Taranto.
Il sommergibile non è ancora pronto, e la nostra vita si snoda tra l'alloggio ed il cantiere.Sono in libertà e verso sera mi reco in un grande magazzino per delle compere: mi pare se ben ricordo per acquistare del dentifricio. Sto camminando tra i banchi delle varie mercanzie, quando di fronte a me a pochi passi, un signore alto e magro, a braccetto di una signora, alza le braccia al cielo avanza con slancio ed esclama:
Ritengo che si diriga verso qualcuno o al mio fianco od alle mie spalle, e fermandomi mi giro per vedere a chi si rivolge. Invece mi sento stretto in un abbraccio caloroso, e rivolgendosi alla sua signora mi presenta dicendo:
I saluti calorosi avevano suscitato curiosità nella gente vicina a noi e allora questo signore rivolgendosi a tutti si mise a raccontare gli avvenimenti, le sue ferite a Bardia, circondata dagli inglesi, l’entrata del sommergibile nella notte buia, il suo faticoso trasbordo, e la medicazione giornaliera che io effettuavo. Io non lo riconobbi, perché durante le medicazioni, guardavo le sue ferite, mentre lui guardava la mia faccia.
Al termine del racconto la gente si congratulò con noi con un applauso.
Mi vollero a pranzo con loro, si ricordarono i momenti passati assieme e mi espresse tutta la sua ammirazione e stima per la vita che si trascorreva a bordo durante le nostre missioni di guerra.
Effettuammo ancora un paio di missioni in Mediterraneo, missioni scialbe, salvo la costante fatica di molte ore di immersione durante il giorno, dei sempre impellenti rischi dell'essere in guerra, del passare ore ed ore ad attendere gli avvenimenti, sempre pronti ad affrontarli. Le notizie sono sempre più tristi, sentiamo troppo spesso il bollettino di guerra che annuncia laconicamente che un nostro sommergibile non è rientrato alla base. Noi ne conosciamo il nome e ricordiamo i cari amici, o i compagni di corso che uno dopo l'altro stanno perdendo la vita. Ma il dovere ci chiama ed il nostro impegno non cessa.
Andiamo ai lavori di riordino alla Maddalena. Parte dell’equipaggio viene inviato in licenza ed io con l’altra parte resto responsabile di seguire i lavori di riordino.
Sono convocato dal responsabile della base, che mi manda in missione speciale di tre giorni a Roma per la consegna di un pacco riservato.
Ben felice di andare tre giorni a Roma mi preparo in tutta fretta.
Mi consegna un grosso pacco ben confezionato, con molti sigilli, timbri e chiusure con ceralacca e mi dice che deve essere consegnato nelle mani di Sua Ecc. l’Ammiraglio [...].
Mi rende edotto anche del contenuto. Poi si interessa per ottenermi un passaggio su di un aereo da trasporto tedesco che rientra in Italia. Raggiunto l'aeroporto, con il mio pacco ben fissato al polso della mano sinistra, espleto tutte le operazioni per l'imbarco e devo lottare con Ufficiali dell'aeroporto che vogliono sapere cosa contiene il mio pacco. Ma non mollo. L'unica frase che dico e ripeto in continuazione è che il pacco deve essere consegnato nelle mani di sua Ecc. l'Ammiraglio [... ]. Incontro difficoltà ma la spunto. L'aereo è uno Yunker, trimotore da trasporto, la cui carlinga è vuota. Gli unici posti a sedere sono quelli del primo e secondo pilota e del R.T.
Mi siedo per terra nella carlinga e in breve tempo siamo all'aeroporto di Roma. Per uscire dall'aeroporto altra grana non indifferente, perché il mio pacco, seppur timbrato, ceralaccato, sigillato suscita il sospetto di ogni ufficiale che è addetto ai controlli. Per non cedere mi giustifico dicendo che sono in missione speciale e che non posso che riferire a Sua Eccellenza l'Ammiraglio. Mostro in continuazione il mio tesserino di Ufficiale e raggiungo il Ministero della Marina Militare. Qui entrare con un pacco sigillato è ancora più difficile. Prima mi scontro con un tenente di vascello (capitano), che a tutti i costi vuol sapere cosa contiene il pacco...
A cura di Ezio Maifrè
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