Si cominciavano a sentire circolare voci di occupazione da parte di truppe tedesche e di blocco di militari italiani. La notte decido di lasciare l’ospedale e di vedere se riesco a raggiungere La Spezia, dove aveva base il mio battello, e sopratutto dove vi era di base gran parte della flotta italiana. Detto fatto di notte, con i classici lenzuoli annodati, mi calo dalla finestra del piano in cui sono sistemato e mi incammino verso La Spezia, dove con l’aiuto di mezzi di fortuna arrivo la mattina del giorno 10 settembre.
Entro in arsenale e già mi preoccupa il fatto che nessuno mi fermi. L'arsenale è in grande disordine. Di flotta neppure l'ombra. Poche persone si aggirano senza uno scopo preciso.
Comincia a circolare la voce che truppe tedesche si stanno impossessando della ferrovia e dei forti in giro sulle colline della città. Incontro un collega guardiamarina di Milano con il quale eravamo conoscenti dal corso preliminare navale. Ci consultiamo e decidiamo, dato che nessun ordine ci viene dato dall'Ammiragliato, di raggiungere casa nostra. Si viene a conoscenza, da radio fante, che la linea ferroviaria per Genova non è praticabile, perché la stazione di Genova è occupata da truppe tedesche.
Decidiamo di tentare la via di La Spezia - Piacenza via Fornovo. Sperando poi di trovare a Piacenza un treno per Milano. Alla stazione il treno per Piacenza è stracarico. Siamo tutti militari senza alcuna destinazione. Molti sono ancora in divisa, sono soldati di tutte le armi: fanti, bersaglieri, artiglieri, marinai delle basi a terra, o di navi in disarmo, militi, polizia ecc. E fra tutti questi anche Melloni ed io.
Il treno è composto da alcune vetture passeggeri e da molti carri bestiame. Pensare di salire su una vettura passeggeri, neanche la più piccola possibilità, sono strapiene. Così troviamo posto su di un carro bestiame.
Il treno si mette in moto, è trainato da una locomotiva a vapore. Si passano le varie stazioncine e si sale sugli Appennini. Superatili si scende verso Fidenza, stazione di raccordo con la linea Bologna-Milano. Nella stazione di Fidenza ci attende una sorpresa, il treno viene avviato su di un binario secondario, delimitato sui due lati da marciapiedi sui quali sono in attesa in guisa di sentinelle diverse coppie di soldati tedeschi con mitra imbracciato.
All'arresto del treno tutti dobbiamo scendere. Le poche donne e bambini vengono fatti uscire dalla stazione, mentre noi ci dobbiamo sedere sul marciapiedi. Anche questa situazione non mi garba.
Perché ci fermano? Già circolava la voce che saremmo stati inviati in Germania o per lavoro o per scelta di altra attività. Allora guardo bene la situazione e controllo il movimento dellecoppie di sentinelle tedesche che ci controllano sia sui nostri marciapiedi, sia dal marciapiede fiancheggiante la stazione. Intanto il treno con cui siamo giunti viene rimosso e, sia sul marciapiede su cui sono io sia sul marciapiede al di là del binario, siamo fermi oltre un migliaio di uomini e giovani. Le coppie di militari tedeschi che ci controllano, per fortuna non sono molte, anche se sanno il loro mestiere perché alcune coppie sono sui nostri marciapiedi e si spostano avanti ed indietro, impedendo ad ognuno di alzarsi, ed altre coppie seguono l'attività di controllo da altri marciapiedi più lontani, così da avere una veduta più ampia.
Ne controllo bene i movimenti e poi so come fare. A chi mi sta vicino dico: "Guardate come faccio e fatelo pure voi. Non state fermi, seguitemi in modo da potercela filare". Purtroppo nessuno mi segue, salvo il mio collega milanese. Ogni volta che la coppia di militari più vicina a noi ci gira le spalle, senza alzarmi, strisciando sul culo, mi sposto verso l'estremità del marciapiede in direzione di Milano. E così, strisciata dopo strisciata arrivo al limite del gruppo ed al termine del marciapiedi.
Ora si deve prendere un'altra decisione. La partenza da La Spezia era avvenuta nel primo pomeriggio, il viaggio era durato alcune ore, ora sul marciapiedi siamo fermi da parecchio tempo, ed essendo in Settembre sta calando la sera. Anche le nostre guardie cominciano ad essere annoiate, sono ore che camminano avanti ed indietro, il loro passo è molto più lento, sono meno attenti perché nulla nel frattempo è successo.
Noto che a una decina di metri da dove sono seduto, di fianco ai binari, vi è una garitta in legno, dove i ferrovieri depositano i loro attrezzi per il controllo della linea ferrata. Me la pongo come obbiettivo, devo raggiungerla. Così quando la coppia di militari più vicina mi gira le spalle per il suo percorso di ritorno, visto che le coppie sul marciapiede principale sono a gruppo e in chiacchiere, decisamente mi alzo e con passo franco e deciso mi avvio lungo i binari e mi infilo nella garitta, da cui esco dopo pochi secondi con una lampada da ferroviere, con uno straccio in testa e con un lungo bastone a cui è fissata una chiave inglese. Mi riavvicino al termine del marciapiedi e faccio cenno al mio collega di raggiungermi, e tutte e due in piedi, uno con un bastone in mano, l'altro con una lampada, ci avviamo con passo deciso lungo i binari in direzione Milano.
Dopo pochi metri non siamo più visibili, perché l'oscurità si è infittita. Troviamo un casello nel quale ci arrestiamo e tiriamo un sospiro di sollievo. Anche perché intravediamo l’arrivo di un lungo treno di vagoni bestiame, su cui vengono fatti salire tutti quelli che abbiamo appena lasciato.
Partito il treno tutto ritorna normale. Noi lasciamo i binari e cerchiamo un mezzo per raggiungere gli amici del mio compagno di avventura, che risiedono in una valle appenninica che sfocia su Fidenza. Il paesino dove sono gli amici del mio collega è a una trentina di Km.
Trovata la strada, gambe in spalla e via. Si cammina quasi tutta la notte, ogni tanto ci fermiamo a riposare: non troviamo soldati nemici. All'alba alcuni contadini ci confermano la nostra direzione ed al mattino siamo dai conoscenti del mio amico, che per caso anch'io avevo conosciuto a Bormio, dove passavano parte della villeggiatura estiva. Ci ricevono e cominciano le notizie. La difficoltà maggiore sarà passare il ponte sul Po, perché è controllato e non si transita senza documenti validi che ne chiariscano la necessità di transito.
A cura di Ezio Maifrè
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