In quel tempo, quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”. Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci! ”. Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
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Qualche giorno fa sono andato in una libreria di un centro commerciale e la mia attenzione è stata attirata da un particolare che, fino ad ora, non avevo mai notato. Accanto agli scaffali con i romanzi, le favole e i saggi, c’è una zona enorme tutta dedicata alle ricette e ai libri di cucina. Mi sono detto: come siamo affamati!
Sì, probabilmente è proprio così: siamo davvero affamati! Ci abita una fame a cui spesso non sappiamo nemmeno dare un nome, vogliamo colmare quel vuoto che ci abita, desideriamo zittire quel bisogno che ci lascia inquieti e mai soddisfatti di quello che viviamo. Il più delle volte, però, ci accaniamo su cose che non possono saziare il nostro desiderio. O che lo saziano solo in apparenza, per poi lasciarci più affamati di prima. Di quante inutilità ci riempiamo la casa, quante promesse di felicità vengono puntualmente disattese, quante volte appendiamo la nostra vita ad appigli che si rivelano fragili e inconsistenti...
Anche il grande Isaia, nella prima lettura, pone questo interrogativo: “Perché spedente denaro per ciò che non è pane?” (Is 55,2).
Un ragazzo, qualche settimana fa, mi diceva che ha vissuto per anni come un maratoneta, sempre alla ricerca di nuove emozioni che potessero colmare il suo vuoto o almeno farglielo dimenticare. Divertimenti sfrenati, viaggi senza meta, sesso, alcol...
Ma niente ha colmato quel bisogno. E ora?
Ora ascolta il Rabbì di Nazareth. Ha scoperto che solo Lui può saziare quella fame, che le sue promesse sono vere, che quella parola non delude.
Certo, cinque pani e due pesci sono un po’ poco per cinquemila uomini. Ma non importa! Gesù non pesa, non misura, non calcola secondo i nostri criteri.
Tu porta tutto davanti a Lui e stai pronto!
Le sue mani prendono, benedicono, spezzano e donano. I verbi sono gli stessi dell’ Eucaristia, la cena del Signore. Sono i verbi che indicano la circolarità dell’amore, la non chiusura nel possesso, l’apertura alla condivisione e al dono. Questo è il pane che sazia la nostra fame! Questo è il cibo che riempie la nostra vita di verità e di bellezza! Siamo fatti per Dio e solo Lui può saziarci, il resto ci lascia a bocca asciutta.
Mi permetto di sottolineare che da nessuna parte in questo testo - ma nemmeno negl’altri Vangeli - troviamo il verbo “moltiplicare”. Il vero miracolo su cui l’evangelista vuole attirare la nostra attenzione, non è il gesto magico di Gesù che con una bella formuletta riempie le ceste di fragranti pagnotte. Il vero miracolo è la condivisione, è il pane spezzato che sazia la fame di chi ascolta la Parola, è la logica nuova dell’amore e della fraternità che libera dalla schiavitù del possesso e dall’ansia della conquista.
Don Roberto Seregni
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