Anno 1972. L’ospedale di Sondalo, forse per la sua antica fama di sanatorio o per altre arcane scelte del destino, viene adottato dagli sceneggiatori del film “Una breve vacanza” come sede di numerose riprese... (Di Franco Clementi)
La trama della vicenda vuole infatti che la protagonista, impersonata da Florinda Bolkan, trascorra qualche tempo in una casa di cura per tubercolosi (cara la mia “vacanza”!), dove intreccia una storia d’amore.
Il padiglione in cui lavoro viene invaso da cinematografari, riflettori, paraventi, “giraffe”, cavi elettrici, ma c’è gran cura di non turbare la normale vita dei malati “veri”.
Fra le comparse molti sono abitanti di Sondalo e in alcune scene compaiono anche alcuni colleghi medici, come il dott. Pontiggia o il dott. Frondoni, che si cimentano persino a recitare poche e semplici battute.
L’avvenimento, che movimenta così il nostro ambiente solitamente opaco, desta grande curiosità ; dipendenti e degenti cercano, quando possono, di assistere alle riprese tenuti appena a distanza da qualche esile cordonatura. Così ho modo di vedere da vicino gli attori ed in particolare la Bolkan, brasiliana, alta, magra, dagli occhi neri e sdegnosi. Ma ho anche la ventura di trovarmi spesso fianco a fianco col regista del film: Vittorio De Sica.
E’ quel che si dice un “bell’uomo”, nonostante che abbia passato i settant’anni: si direbbe anzi che l’età l’abbia migliorato. Alto, capelli brizzolati, portamento eretto; il suo sguardo è vivo, ma mi colpisce in esso una certa pensosa gravezza, una serietà che sconfina nella malinconia, quasi che un occulto pensiero gli tolga la serenità.
Ritengo dapprima che si tratti di preoccupazioni attinenti alla conduzione del suo lavoro. Purtroppo non è così: come qualche tempo dopo sarà palese a tutti, il regista non sta bene. Nella massima segretezza si fa fare una lastra nel mio reparto. Morirà l’anno successivo per tumore polmonare in una clinica di Parigi.
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Il film, distribuito qualche mese dopo, non fu tra quelli più riusciti di De Sica e rimase poco tempo in cartellone, ma noi valtellinesi fummo particolarmente curiosi di assistere alla sua proiezione per veder sfilare sullo schermo i luoghi a noi noti dove era stato girato: l’ospedale Morelli, la chiesa di Santa Marta in Sondalo, la piazza del Querc a Bormio. In particolare ci fecero sorridere alcune manomissioni o invenzioni sceniche della realtà: ad esempio l’arrivo del treno ad un’inesistente stazione ferroviaria di Sondalo o taluni panorami dal sanatorio che in verità erano stati ripresi da Bormio 2000.
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Vittorio De Sica è stato insieme attore e regista, ma quest’ultimo ruolo ha di gran lunga sovrastato il primo (il figlio Cristian ha purtroppo ereditato solo il talento minore).
Come regista infatti egli si pone fra i massimi della storia del cinema, specie dopo il felice incontro col soggettista ed ispiratore Cesare Zavattini.
Tra le molte doti di De Sica mi preme indicare le due che reputo maggiori: una inimitabile, paziente capacità di far recitare persone comuni, facendole sembrare grandi attori. I suoi interpreti passati ad altri registi sono scomparsi rapidamente nel nulla. La stessa Sophia Loren deve a De Sica il suo “Oscar” per il film “La ciociara” : prima e dopo di lui non si è mai elevata oltre la sufficienza.
una sensibilità poetica che gli consentì di dare accenti di profonda umanità anche agli ambienti più squallidi del neo-realismo (“Ladri di biciclette”, “Umberto D.”), o di creare con toni elegiaci l’ambiente incantato di un impossibile amore (“Il giardino dei Finzi Contini”) o di interpretare con delicata levità anche un mondo che sconfina nel fiabesco (“Miracolo a Milano”).
Nelle sue opere la speranza non muore mai: essa è sempre alla ricerca di un mondo dove “Buongiorno vuol dire veramente buon giorno”.
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