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venerdì 23 marzo 2012

"LA SELVA": UNA CONTRADA UNITA

Verso le ultime pagine del diario dei ricordi... Oggi il silenzio di quelle abitazioni pare quasi parlare e raccontarci gli echi lontani della semplicità di quella gente umile e buona. (Di Ivan Bormolini)

FORESTIERI Durante l’estate la frazione di Baruffini si popolava di persone che da anni giungevano tra le contrade per godere dell’aria buona; tra di loro c’era Luigi, era della zona del comasco e verso la metà di giugno arrivava con la moglie per passare l’estate nella soliva frazione.

Era conosciuto da tutti quell’omino semplice e di poche parole, mi sembra abitasse in una casa vicino alla chiesa, passava le giornate estive con la moglie e durante le ferie d’agosto arrivava il figlio, la nuora ed i nipoti.
Aveva un’adorazione per Baruffini e non passava giorno che non arrivasse in via Selva intrattenendosi con i contradaioli.

La mia ava e il mio avo definivano quei villeggianti, senza toni polemici ma bonariamente, “furesc”; non sono mai riuscito a comprendere come quelle persone fossero sempre state catalizzate dalla contrada Selva pur abitando in altre vie; evidentemente “quelli della Selva” per i loro modi di fare piacevano a tutti.

Non voglio dimenticarmi di due persone speciali: Gina e Domenico, marito e moglie che giungevano dalla zona di Bergamo, erano divenuti ormai due di famiglia e stavano delle ore a parlare con gli avi.
Domenico mi pare che prima della pensione fosse un’autista degli autobus a Bergamo, mentre Gina era casalinga. Domenico era fratello della famosa Suor Assunta, una suora che lavorò a Baruffini tra la scuola e l’asilo ma non si dimenticò di dare una mano a quella gente bisognosa; quella suora fece molto per la frazione tanto da essere ricordata quasi al pari di Suor Oresta, un’istituzione religiosa ma una grande suora vicina alle necessità della gente di Baruffini in momenti dove la miseria la faceva da padrona.

La morte di Domenico fu un duro colpo per i miei avi; la Gina fece ancora ritorno per qualche breve periodo a Baruffini, ma si capiva la sua umana solitudine, si percepiva il suo dramma, il suo essere rimasta sola. Non so più quale sia stato il destino di quella donnina, ma so che dopo la morte di Domenico anche i miei avi cominciarono a parlare del distacco dalla vita terrena; non ho mai sopportato quei discorsi, mi allontanavo per non sentire quelle parole anche se in cuor mio sapevo che un giorno tutto si sarebbe avverato e quell’incantesimo si sarebbe spezzato.

Pochi i ricordi che ho legati alla famiglia Magni, anch’essi “ forestieri”, padre, madre e figlia che abitavano in una casa in contrada Dossello; della loro figlia, Milly, ricordo la forte amicizia che si era instaurata con la mia zia, ma nulla di più.

FERRAGOSTO IN TERRAZZA Non so come sia nata la tradizione della festa di ferragosto nella grande terrazza in fondo alla via Selva; posso provare a credere, magari con pochi dubbi, che la giornata fosse un’idea partorita dalla mia ava.
Io, con mio padre, mia madre e mio fratello, prendevamo parte a quella che pareva un’adunata, un anno sì e uno no, un ferragosto a Baruffini e uno alle Canali nella casa del nonno Geni.

L’organizzazione del ferragosto a Baruffini partiva con discreto anticipo: oltre alla nostra famiglia, c’erano Gina e Domenico, Luigi e la sua truppa, alcuni abitanti della Selva il fratello della mia ava e la moglie... e poi altri ancora.

Dicevo della macchina organizzativa, il giovedì prima di ferragosto l’ava con altre donne scendeva al mercato con la macchina del figlio di Luigi; si faceva la spesa, soprattutto carne da mettere sulla piastra.
Non si lesinava con il peso delle costine e con il numero delle salsicce: ricordo che il “baule” di quell’auto era strapieno.

Il giorno prima del ferragosto gli uomini preparavano i tavoli e le sedie, l’avo portava la legna per quella grandissima piastra e scendeva in cantina a riempire i bottiglioni di vino.
Le donne erano prese nella preparazione dei piatti e posate, andavano negli orti e tornavano con ceste piene di verdure e qualche pianta aromatica: pomodori, insalata, rosmarino, salvia e basilico; c’era ogni ben di Dio.

La mattina di ferragosto l’appuntamento per tutti era di buon ora, gli uomini ad arrostire enormi quantità di carne e le donne intente nel preparar tavola e condire verdure varie; noi più piccoli eravamo soliti giocare nel comprensorio: la scala di fronte alla terrazza era luogo ideale per condurci nei meandri della contrada per giocare a nascondino.

Tutto, salvo qualche eccezione, era interrotto dalla S. Messa. Al ritorno dalla funzione era ormai pronto: gli uomini avevano gli occhi lucidi per il fumo ed il calore che emanava la piastra, e le donne erano intente negli ultimi preparativi.
Poi tutti a tavola, la festa aveva inizio e continuava fino a tarda sera; ricordo che si univano pranzo, merenda e cena; il tutto era intervallato da canti, partite alle carte e chiacchere o racconti di vita.

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RACCONTI DI VITA Un ultimo capitolo di questa carrellata lo voglio dedicare ai “racconti di vita”; già, perché tutti quegli avi avevano sempre da raccontare qualcosa della loro esistenza tribolata dove pare che solo la vecchiaia abbia saputo restituire un po’ di pace e serenità.
L’avo, il contadino e cantore, parlava poco e malvolentieri dei sette anni al fronte, solo di raro citava momenti di quella guerra che lo vide lontano da Baruffini, la sua Baruffini.

In quei racconti parlava di morte nelle trincee, di fame e di freddo, la paura si leggeva ancora nei suoi occhi che ogni tanto si bagnavano di gocce fatte di tristi e drammatici ricordi.
Se nei Tg si parlava delle guerre nel mondo cambiava canale e diceva che lui ne aveva visto e sentito abbastanza…Una reazione comprensibile.
Sul capitolo guerra concludeva sempre, con un elogio agli Americani, a quei soldati che portarono la salvezza.

Per il resto parlava della sua vita contadina, delle sue vigne, delle fatiche di una vita; era raro vederlo a Tirano, scendeva solo per ritirare la pensione. Sempre in quel giorno del mese e a quell’ora, poteva piovere o nevicare che lui scendeva, ovviamente a piedi, per ritirare la pensione e diceva che lui al Governo non l’avrebbe lasciata.

L’ava, quando parlava di ricordi, cominciava sempre o quasi, dalla morte di suo padre; quell’uomo cessò la sua esistenza terrena quando l’ava era ancora piccola.
Un duro colpo la mancanza di un uomo, il capofamiglia, quando le bocche da sfamare erano tante e la miseria sembrava prendere sempre il sopravvento.
Eppure, ce l’avevano fatta: sacrifici, lavoro sin dalla giovane età; era andata a fare la “serva” in una famiglia comasca, e poi la terribile parentesi della guerra, il contrabbando e la nuova famiglia, la sua famiglia.

Tanti i sacrifici: non si poteva non lavorare, e quindi bisognava coltivare i campi. Quando i figli non andavano dalle suore li metteva nella gerla e andava nei campi.
Raccontava, raccontavano: non sarebbe sufficiente un libro per riassumere quella vita fatta di povertà prima e di “cauto” benessere dopo.
Peccato che la malattia o la vecchiaia e poi la morte abbiano preso il sopravvento. Quelli della Selva se ne sono andati tutti in punta di piedi, ma gli echi delle loro parole e dei loro insegnamenti, quelli non se ne andranno!!! E la piazzetta della Selva è ancora li a ricordarceli.

Ivan Bormolini

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