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venerdì 26 ottobre 2012

MODI DI DIRE: "Al ga fa mal al füm deli candeli"

Su IntornoTirano.it ha inizio una nuova rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
Questa rubrica settimanale dei "modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone. 
I “modi di dire “ sono una maniera per esprimere un concetto utilizzando un'espressione di senso figurato. La lingua italiana e il dialetto sono estremamente ricchi di queste espressioni. Mi pare cosa buona esprimere i “modi di dire“ in forma dialettale inserendoli in un contesto, in un fatto avvenuto senza peraltro fare riferimenti specifici e personali, ma con il solo scopo di inserire il “modo di dire “ e farne capire il suo significato e ciò che esso racchiude.
Al ga fa mal al füm deli candeli
Non era il tempo di Carlo Cùdega. Il fatto successe alcuni anni fa e si narra che succeda ancora oggi.
Quelli che incappano nella triste esperienza, sovente alla domanda del perché non vanno più in chiesa, rispondono per non spiegare altro che “Al ga fa mal al füm deli candeli”. Non dico la Parrocchia, nè menziono il prete confessore, nè i peccatori poiché un proverbio rammenta che si dice il peccato e non il peccatore.
Ecco il fatto. Carlo ferroviere, buon macchinista di treni, per cinque volte la settimana si alzava alle 5,10 del mattino per condurre il treno da Tirano a Sondrio. Guidava che era un piacere. Mai una deviazione dai binari. La deviazione invece la fece sua moglie. Carlo una mattina salì sulla locomotiva a vapore, iniziò a mettere in pressione la caldaia e tutto d’un botto la caldaia si ruppe e esplose.
Nulla da fare, quella mattina il treno non fece “ ciùf, ciùf “ e andò in deposito per la riparazione. Carlo alle ore 7.00 tornò a casa. Una eccezione, poiché doveva in quell’orario essere a Sondrio. Giunse a casa. Fuori della porta di casa stranamente sentì sbuffare. Non era come lo sbuffo della sua locomotiva. Sembrava piuttosto un ansimare, unito a dei rantoli. Pensò a un malore della moglie o dei suoi due figlioletti. Aprì la porta, salì le scale. L’ansimare con sbuffi alternati proveniva dalla stanza matrimoniale.
Aprì la porta e vide un’ ombra dissolversi dalla finestra e la moglie tutta discinta, sudata, accalorata. Il povero uomo, che stupido non era, capì e tacque. La moglie si avvolse la testa nella lenzuola presa della vergogna. Carlo accese la luce della stanza e vide per terra un paio di scarpe eleganti. Erano nere con la parte laterale bianca. Pensò: quel ganzo è fuggito lasciando le scarpe. Le raccolse, spense la luce, chiuse la porta e dal quel giorno non fece più una parola con sua moglie, che la tenne in casa per non turbare i figli.
Aveva però raccolto il reperto: le scarpe dell’amante della moglie e vide che erano risuolate. Dopo una settimana di meditazione, andò con le scarpe nere e bianche dal calzolaio che allora era in piazza Cavour. Quel bravo calzolaio conosceva i suoi clienti dalle scarpe che portavano. Carlo le mostrò al calzolaio che disse: toh, un altro che porta scarpe come Guido Santèla. Carlo non disse una parola, fece dietrofront e tornò a casa. Aveva saputo dal calzolaio di chi era quell’ombra fugace di quella notte.
Insomma per farla corta Carlo mostrò le scarpe alla moglie facendo il nome del proprietario, la moglie dopo mille dinieghi alla fine confessò l’adulterio. Risultato: Carlo cacciò la moglie di casa e dopo tre anni divorziò tenendosi i figli in casa. Guido, il ganzo, per un anno frequentò l’amante, poi l’abbandonò al suo destino. Inizio però, dopo tre anni, l’amore di Carlo.
Conobbe una brava donna nubile di nome Maria, tutta casa e chiesa che si occupò dei figli e convisse con Carlo divorziato. Un bel giorno Maria, decise di confessarsi in una chiesa dove non la conosceva nessuno, ma incappò in un fatto tremendo e inaspettato. Raccontò all’anziano prete con umiltà e pentimento i suoi peccati, infine confessò d’essere unita e convivente con un uomo separato con due figli. Apriti cielo.
Il prete incominciò il suo sermone e dulcis in fundo si rifiutò di darle l’assoluzione. La donna aprì la porta del confessionale turbata. Tornò a casa piangendo e raccontò tutto al suo compagno. Carlo, essendo un buon cristiano, tutte le domeniche si recava alla S. Messa con la sua compagna e con i suoi figlioli e ascoltava con attenzione il sermone. Da quel giorno i due, pur continuando le loro preghiere nel loro intimo, decisero di non andare più in chiesa.
La chiesa appariva loro non come casa del Signore che dice di perdonare settanta volte sette, ma come una casa arcigna e severa che perdona ruberie, bestemmie, ma non il peccato di Maria fatto per amore di Carlo e dei suoi figlioli.
Alcuni mesi dopo il fatto, il parroco incontrò Carlo e gli chiese come mai non si faceva vedere la domenica alla S. Messa com’era sua abitudine. Lui di rimando rispose freddo e tagliente: "al ma fa mal al fum deli candeli!". Il prete, essendo a conoscenza della loro situazione, capì e se ne andò pensoso. Forse pensò che Dio è infinitamente caritatevole e benevolo. Lo è soprattutto verso le persone che si sono trovate a subire o decidere per una separazione che è sempre molto dolorosa, ma le regole terrene, a torto o a ragione, devono essere fatte rispettare.
Ezio Maifrè

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