La rubrica, a cura di Ezio Maifrè, per capire i modi di dire
dialettali, grazie alla spiegazione e ad un racconto specifico.
Questa rubrica settimanale dei
"modi di dire", nel contesto del racconto, ha lo scopo di rammentare in
gergo dialettale una espressione e non si riferisce a fatti e a persone.Era una calda sera d’estate degli anni ’70. La frescura e la quiete dei boschetti del Dosso donavano alla balera dell’Eden una gioiosa atmosfera. La fisarmonica del Pédru spandeva le sue note fin quasi agli argini dell’Adda. Lentamente la gente affollava la spaziosa pista da ballo ricavata su una ombrosa terrazza.
In quel sabato sera si era deciso di tenere una festa popolare, con pane, salame e formaggio, offerta da un politico intraprendente.
S’era vicini alle elezioni politiche e molta gente era intervenuta, forse più per mangiare a sbafo, che per udire la prolusione del “ candidato “ ansioso di racimolare voti.
I giovani s’erano passati la voce e avevano approfittato dell’occasione per sfogarsi in tanghi, valzer e mazurche. Era un piacere vedere lo svolazzar di gonne e i sorrisi delle ragazze strette ai fianchi da togliere il fiato.
Insomma, le sedie intorno alla balera erano sempre vuote e la spaziosa pista da ballo pareva un formicaio impazzito tale era l’intreccio dei danzatori.
L’accaparrarsi delle ragazze era frenetico. Sgusciavano dalla stretta affettuosa e amorosa da un giovanotto all’altro come trottole non appena una suonata era finita.
Solo in un canto una sedia era occupata. Era del politico che aspettava il suo turno sicuro che avrebbe, con la sua favella, incantato tutti. Guardava con ansietà le sedie intorno alla pista. Si vedeva palese il suo desiderio che fossero piene di attenti suoi uditori. Era naturale: per quei ragazzi la musica era la loro gioia, per il politico il parlare era suo orgasmo.
Campa caval che l’erba cresce. Il Pédru non finiva più di suonare la fisarmonica. Suonava con gli occhi chiusi. Sul tavolino la caraffa del litro di vino si era svuotata due volte. Le sue dita, leggere come quelle di un millepiedi, sembravano solo sfiorare i tasti, mentre il turbinio gioioso dei giovani faceva aria al suo sudore.
Insomma, dopo quattro ore buone di danze, il politico si avvicinò al Pédru e gli tolse dolcemente la fisarmonica dalla braccia senza che se accorgesse. Dicono che lui suonasse anche dormendo e in effetti non se ne accorse poiché continuò a muovere braccia e dita anche senza fisarmonica. Lo lasciarono fare.
Era arrivato il momento del discorso ufficiale del pretendente ai voti.
Tutti si accomodarono sudati e accalorati sulle sedie posti a corona ai lati della pista da ballo. Qualche ragazza accalorata e divertita fece l’occhiolino all’ultimo compagno di ballo, come dire che non era finita lì.
L’oratore si sistemò al centro della terrazza con il microfono e iniziò la sua prolusione.
Il discordo durò un’ora. Non è il caso di raccontare per filo e per segno tutto ciò che disse, ma il succo del suo discorso fu questo: “signori, chiedo il vostro voto poiché, di sicuro, io sono l’uomo giusto per voi. Conosco Tirano come le mie tasche e anche le persone. Vi prometto che , se io avrò i vostri voti, in futuro non troppo lontano Tirano avrà la sua Tangenziale. Sarà grande, bella e scorrevole, sarà come una corona per la nostra città. Il traffico pesante dei camion e delle corriere non affumicherà più il nostro bel Santuario.
Sul nostro bel vialone alberato di Madonna di Tirano il respiro si farà dolce, persino profumato e l’attraversare dello stradone sarà un giochetto anche per uno che dorme in piedi. Di più, vi prometto che farò arrivare il treno fino a Bormio, realizzerò il traforo del Mortirolo e in Trivigno andrete con la funicolare”.
Al sentir questo il Pédru, gran suonatore di fisarmonica, si riebbe dal suo torpore ed ebbe un sussulto, come colpito da una scarica elettrica.
Di botto imbracciò la fisarmonica posata a lato. Si diresse al centro della balera dove c’era il politico. Lo guardò dritto negli occhi e suonò una ouverture in “ si bée dür”. Poi intonò un canto gradevole, affascinante, che si innalzò fino alle alte case del Dosso. Invitò l’intera platea a ripetere quel ritornello, in onore del politico, che diceva "‘l g’à pü bùrsa che bàli!!!".
Il Cicerone ingoiò le sue ultime parole e capì che quel detto popolare significava che chi parlava aveva molte belle parole, ma in realtà non avrebbe concluso nulla di ciò che aveva promesso.
Una avvenente e spregiudicata ragazza, che ben conosceva l’oratore, e che era uscita alcune sere a ballare con lui, continuò il ritornello, anche quando tutta la platea s’era tacitata, guardando il politico dritto negli occhi a guisa di beffa.
A buon intenditore , poche parole. Quel Politico ebbe solo 21 voti. I maligni dissero che provenivano della sua parentela. Pensandoci dopo tanti anni, quel politico forse fu profeta di sventura poiché la tangenziale di Tirano s’ha ancora da fare, il treno si ferma ancora a Tirano e il traforo del Mortirolo è sulla carta e in Trivigno si va a piedi o in auto...
Ezio Maifrè
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