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lunedì 21 gennaio 2013

PER NON DIMENTICARE: "UNA SECONDA VITA" E "PORTAMI DI LA'"

Per la Giornata della Memoria, domenica 27 gennaio, presso il Teatro Don Bosco di Edolo, Bruno Ciapponi presenterà il libro "Una seconda vita" di Alan Poletti. A seguire lo spettacolo teatrale tiranese "Portami di là".
[…] “ Egli ordinò loro di recarsi subito alla stazione ferroviaria dove il treno con gli internati a bordo era in attesa di partire per portarli in Croazia. Sarebbero stati liberati. In una frazione di secondo presi la mia decisione e dissi « Io rimango qui. Se volete seguire il mio consiglio, non andate neppure voi. » Nessuno di loro volle rimanere, così scaricai il mio bagaglio dal carro e li abbracciai. Le nostre strade si divisero. La mia condusse alla libertà, la loro alla morte”.
La testimonianza è di Edo Neufeld, avvocato croato di fede ebraica. E’ il febbraio del 1942, Edo Neufeld e altri 200 ebrei sono i protagonisti di un singolare fatto accaduto lontano dai terribili campi di sterminio nazisti, vicino a noi, sul passo dell’Aprica tra la provincia di Brescia e quella di Sondrio, tra l’alta Valcamonica e la Valtellina. Ancor più singolare è che a raccontarlo in un libro di fresca traduzione, “Una seconda vita”, sia il neozelandese Alan Poletti, uno scienziato con un dottorato a Oxford in fisica nucleare che sino alla pensione occupava la cattedra di fisica nucleare all’università di Auckland in Nuova Zelanda. Dall’altra parte del mondo.
Era il 1983 quando Alan Poletti si recò in Valtellina sulle tracce del nonno Giovanni a Villa di Tirano, in quel primo viaggio in Italia inciampo quasi per caso in don Cirillo Vitali, da quarant’anni parroco tra quelle montagne. Di lui si narrava che era stato un contrabbandiere di merci, quando i suoi parrocchiani erano in bisogno, ma soprattutto era stato con don Giuseppe Carozzi, un capitano della finanza e un maresciallo dei carabinieri, protagonista della fuga di più di 200 ebrei dall’Aprica alla Svizzera nel settembre del 1943. Una vicenda rimasta nascosta tra i sentieri dei contrabbandieri, sepolta nella memoria, ma che narrava del fraterno rapporto venutosi a creare tra gli ebrei al confino all’Aprica e i montanari del passo.
Cosa ci facevano duecento ebrei croati al passo dell’Aprica? Già al tempo luogo di villeggiatura. E’ un fatto che fa parte del confusione politica e sociale dei tempi bui del regime, ma ha un inizio ben preciso. Dopo l’invasione nazi-fascista dei Balcani molte famiglie ebree si trovarono costrette a fuggire. Fuggivano dalle terribili grinfie dei Ustascia, fascisti croati antisemiti, che resero il compito facile ai nazisti e ai fascisti nelle terre dei Balcani, sterminando migliaia di persone con un’atroce efferatezza da far invidia agli aguzzini di Auschwitz. Dopo aver superato con varie peripezie o dopo aver corrotto militari e ufficiali del confine italiano, gli ebrei dei Balcani, vennero banditi momentaneamente in luoghi di confino, il passo dell’Aprica era uno dei tanti. Nella primavera del 1942 l’avvocato Edo Neufeld e la sua famiglia si ritrovarono al passo con altri 200 ebrei, per la maggior parte loro connazionali. Sino all’8 settembre del 1943 la vita al passo dell’Aprica per le famiglie ebree fu tranquilla, al passo non vi erano sinistre baracche, torri di guardia e filo spinato. Ne tantomeno camere a gas!
Nonostante la permanenza forzata e poco cibo, si instaurò un ottimo rapporto con i montanari che accolsero i confinati nelle loro case, insegnarono a zappare la terra e coltivare i prodotti dei monti. I croati si organizzarono facendo salire cibo e altri generi di prima necessità da Edolo o da Ponte di Legno. Nel frattempo le notizie che trapelavano dall’Italia e soprattutto dalla Germania erano inquietanti, le leggi razziali non lasciavano scampo e, dopo la notizia dell’armistizio dell’8 settembre, l’inizio della guerra civile e l’arrivo di nuove truppe naziste, si decise per la fuga. In pochi giorni i più di 200 ebrei dell’Aprica, al calar della notte, presero la via dei sentieri dei contrabbandieri verso il confine elvetico. Nelle ore, non giorni, in cui i nazisti erano già a Ponte di Legno nella parte bresciana e avevano occupato Sondrio. Il 12 settembre i fuggiaschi erano bloccati al confine nel Cantone dei Grigioni, la mattina del 13 settembre Heinrich Rothmund, capo della polizia di confine, diede l’ordine ai suoi subalterni non solo di accettare i profughi ebrei ma di aiutarli e considerarli benvenuti. Di questa “fuga per la vita” fu vitale la collaborazione dei due parroci, del brigadiere dei Carabinieri Bruno Pilat, del capitano della Fianza Leonardo Marinelli, dei contrabbandieri e della gente delle montagne Camune e della Valtellina.
Alan Poletti con una inchiesta parsimoniosa e accurata dei fatti, con la costanza della ricerca dei sopravvissuti o dei loro eredi ha costruito una storia che riordina le vicende delle nostre genti.
La fuga anche di una sola persona dalla morte è sempre un avvenimento da festeggiare.
Il libro: “Una seconda vita” è edito dalle Edizioni del Museo Etnografico Tiranese e dal Comune dell’Aprica con la traduzione dall’inglese di Milva Genetti.
Valerio Gardoni

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