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sabato 25 aprile 2015

"TRADITA" DI JEAN SASSON: "UN RACCONTO TOCCANTE NELLA SUA TRAGICITA'"

A partire dal 1968, anno della presa di potere del partito Baath ed inizio della scalata al vertice di Saddam Hussein (dopo il tentativo fallito del 1963), in Iraq più nessuno è al sicuro. Non si fanno distinzioni di sorta sull'età o sul sesso, sulle condizioni sociali o sul gruppo religioso di appartenenza, sull'estrazione sociale nè tanto meno sull'adesione o no al nuovo potere instauratosi nel Paese; i rastrellamenti e le costrizioni nei carceri di massima sicurezza, le torture e le privazioni per estorcere false confessioni a persone senza colpa alcuna sono all'ordine del giorno.
Persino coloro che sono aguzzini oggi potrebbero ritrovarsi vittime domani senza un plausibile motivo. La convivenza sullo stesso territorio tra sunniti, sciiti e cristiani, già molto precaria ed instabile (in tutto il territorio arabo del resto) dai tempi dell'impero ottomano ed in seguito, dopo la prima guerra mondiale sotto il dominio inglese, diviene sempre più motivo di tensioni con l'instaurazione del nuovo governo (sunnita) di Saddam. Se i Turchi nei secoli erano riusciti, nel bene e nel male (soprattutto con la forza) a tenere a bada quella situazione di convivenza forzata, con la caduta dell'impero e l'avvento degli europei (inglesi e francesi nel 1917) l'intero mondo arabo si convince di poter finalmente fondare nazioni libere e di iniziare una nuova era di garanzia dei diritti civili e di esistenza pacifica e florida.
Ma ben presto in tanti si rendono conto di essere caduti dalla padella alla brace, essendo i "nuovi padroni" interessati unicamente alle enormi risorse di quei territori e dimostrando di volerne essere i legittimi proprietari e sfruttatori. Anche per queste motivazioni in Iraq l'avvento al potere del nuovo partito Baath ed in sostanza della cricca di Saddam, all'inizio, viene accolta con "pacato entusiasmo", ma ben presto la situazione è destinata ad evolversi in maniera tragica.
Già dal 1969 molti intellettuali decidono di riparare nelle nazioni vicine (soprattutto in Giordania) e chi non può farlo vive in una situazione quotidianamente precaria. Mayada Al Askari, la protagonista di questa storia, è una giovane donna appartenente ad una famiglia agiata e banestante della borghesia Irachena che vive a Baghdad. Il nonno paterno ha combattuto accanto a Lawrence d'Arabia ed al principe Faysal contro i turchi e quello materno si è battuto per una vita intera per l'unità di tutto il mondo Arabo ed è tenuto in grande considerazione in tutti i paesi del Medio Oriente ed anche da Saddam in persona. La madre ha lavorato presso il ministero dell'istruzione ed è anch'essa stimata nelle alte sfere del nuovo governo, in parte anche per il cognome che porta.
La famiglia di Mayada decide all'inizio di rimanere nel paese, di non fuggire, fiduciosa anche delle importanti conoscienze e credendo veramente in un positivo cambiamento della situazione. Lei inizialmente scrive articoli per un giornale locale, è molto coraggiosa nel descrivere anche determinati atteggiamenti non proprio condivisibili del nuovo governo, ma nonostante questo si guadagna una certa stima persino da parte dello stesso Saddam, che la invita varie volte al palazzo presidenziale per discuere dei suoi scritti. Successivamente, usufruendo di beni di famiglia apre una sua tipografia, assume del personale ed avvia un'attività propria cercando di mantenersi sempre dentro le regole imposte da un regime che va via via facendosi sempre più ferreo ed intransigente.
E' il 1999 quando viene prelevata dal suo ufficio con accuse pretestuose e viene trasferita nel carcere di massima sicurezza femminile di Baladiyat. E' qui, nella cella 52, che conosce ed instaura un rapporto di stretta amicizia e solidarietà con altre 16 donne imprigionate come lei. Le donne ombra della cella 52, così le definisce l'autrice, persone strappate alla propria vita, ai propri parenti ed affetti (Mayada ha 2 figli piccoli), ai rispettivi lavori spesso senza motivazione alcuna.
Il racconto della coesistenza forzata di queste donne in uno spazio comune e limitato, le loro storie personali raccontate sottovoce per paura che le guardie potessero ascoltare, le continue torture subite, le violenze sessuali da parte di guardie e polizia, le speranze che tutto finisca presto, che sia solo un'errore, fanno di questo libro un documento veramente toccante nella sua tragicità. La scrittrice è una giornalista americana molto addentro le vicende del mondo Arabo che ha trascorso ben dieci anni della sua vita in Arabia Saudita e che conosce personalmente Mayada Al Askari durante un suo viaggio di lavoro in Iraq (la donna le fa da interprete per conto del ministero dell'informazione).
Dopo la liberazione dell'irakena dal carcere (grazie anche alle conoscenze di famiglia), le due donne si ritrovano in Giordania dove Mayada nel frattempo si è trasferita con la famiglia e decidono di mettere nero su bianco la tragica esperienza personale sua e di tante altre vittime innocenti, parecchie delle quali non sono riuscite a sopravvivere alle atrocità e alle privazioni imposte dal regime. Un racconto toccante che mette a nudo il senso di fragilità e di impotenza in cui ci si viene a trovare in determinate situazioni, ma anche la grande forza di volontà di reazione e di solidarietà che può trasmettere il sentirsi accomunate in un'ingiustizia.
Tradita, di Jean Sasson, Sperling & Kupfer, pagg.316, €8,92.
Mauro Rossi '59
Tirano

P.S. Della stessa autrice anche: Sulle strade del KurdistanDietro il veloSchiave.

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