Un tempo quell’area era chiamata località “il portone dei frati”; gli zelanti Padri Cappuccini contribuirono a dar manforte nei terribili momenti della peste del 1630, riuscendo anche con apostolica spiritualità a mantener viva la fede in momenti difficili.
Verso la fine degli anni '50, Padre Gianmaria da Spriano era uno dei docenti dello studentato dei Padri Cappuccini; trasferitosi in Valtellina scrisse elaborate ricerche che permisero di far luce sulle vicende storiche dei Cappuccini in valle.
Nel 1962, Padre Martino Bertolini, nei suoi continui studi che lo portarono fino agli archivi segreti del Vaticano, diede alle stampe uno scritto molto interessante sulle vicende di Padre Ignazio Imberti da Casnigo; lo stesso Padre Gianmaria giudicò l’opera di fondamentale importanza per l’approfondimento sugli studi dei Cappuccini in Valtellina.
Leggendo alcuni scritti del Varischetti ci si accorge che la figura di Padre Ignazio Imberti da Casnigo fu fondamentale, proprio nel convento tiranese, nei tumultuosi momenti in cui prese vita il Sacro Macello.
Padre Ignazio ebbe una vita apostolica che venne definita “coraggiosamente vissuta”, dopo aver percorso tra tempestose vicende le vie d’Europa in missioni delicate presso i principali governati del tempo; rifiutò con umiltà la porpora cardinalizia offertagli dal Papa Urbano VIII.
Svolse per molti anni la sua missione in Valtellina e l’ultimo periodo del suo lavoro apostolico lo vide a Tirano, un luogo che in quel tempo era particolarmente esposto agli attacchi di quella che veniva definita eresia protestante.
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Questa figura religiosa di spicco, dunque, fu molto attiva nel combattere il diffondersi del protestantesimo tra le anime dei tiranesi e dei valtellinesi; si trovò in mezzo al turbolento Sacro Macello e, la sommossa che prese il via al Pretorio di Tirano e tra le vie del borgo. Si legge che la sua figura ebbe la sfortuna di essere variamente ed ingiustamente interpretata.
Una nota storica, sicuramente travisata, lo vide proprio nei momenti dell’inizio delle lotte come uno dei protagonisti, ossia un focoso rivoluzionario: “... con archibugio a tracolla, con un pistolone nella cintola, e con un crocifisso in mano, incita i tiranesi alla strage… ”.
A questo punto le domande che ci poniamo sono molte: poteva un servo di Dio animare la violenza? Oppure:il buon Padre dei Cappuccini si sarebbe dimenticato del saio, simbolo indiscusso del suo mandato, per combattere con forza e crudeltà quell’eresia?
Quasi certamente possiamo dire di no, e possiamo ipotizzare che il buon Ignazio non sia arrivato a tanto, poiché in alcuni anni di permanenza in valle avrà avuto modo di conoscere le esperienze del primo parroco di Tirano, Simone Cabasso, e del suo grande amico Nicolò Rusca, entrambi fianco a fianco nel salvaguardare la religione di Santa Romana chiesa; non certamente con l’archibugio, ma con la discussione animata ed accesa, proprio come avvenne nelle storiche dispute tra cui quella di Tirano che vide il Rusca ed il Cabasso confrontarsi con i protestanti.
Ma le vicende di Padre Ignazio non si limitano solamente alla grande battaglia per la tutela della religione cristiana. Il buon Cappuccino, infatti, non si tirò indietro nemmeno in occasione della terribile ondata di pestilenza che colpì la valle. Questa epidemia fu un flagello: sacerdoti della chiesa di S.Martino e frati Cappuccini unirono le forze per aiutare i poveri malati; al Santuario venne istituito un lazzaretto; ovunque miseria e malattia, ovunque occorreva carità. Ma neppure i frati riuscirono a sopravvivere: infatti, ben in 17 morirono durante l’ondata di pestilenza. Solamente verso la fine dell'aprile 1630, nel volgere di 4 giorni, tornarono alla soglia di Pietro ben 4 religiosi.
La malattia non risparmiò nemmeno Padre Ignazio che rimase vittima della terribile peste; la sua salma venne sepolta nella chiesetta del convento tiranese dove lo stesso Ignazio aveva precedentemente istruito un gruppo di ardimentosi evangelizzatori particolarmente armati di spirito e cultura, al fine di combattere il diffondersi dell’eresia luterana che in quei tempi era particolarmente pressante per la presenza di un manipolo di predicatori luterani quanto mai spavaldi nel portare questo nuovo credo nelle nostre terre.
Ma ora veniamo al convento. Sorgeva isolato ai margini della piana tiranese alle falde del Massucciosvolgendo la sua benefica missione. Fu travolto dalla bufera rivoluzionaria agli scorci del '700.
Molto andò perso o venduto ai privati, soprattutto per quanto concerne la chiesa. Di sicuro due quadri di buon valore si trovano attualmente nella chiesa di Villa, mentre un dipinto che raffigura l’apparizione della madonna di Tirano e proveniente dal convento si trova nella sacrestia della Parrocchiale di San Martino. L’edificio divenne in seguito proprietà privata e verso la metà dell’800 la famiglia Mottana viaprì la sua prima filanda; nel 1881 vi fu trasferito l’ospedale civile.
Purtroppo, dell’antica configurazione di questo convento non si ha più niente ed è andata persa anche la tomba del celebre cappuccino Padre Ignazio. Certamente questo è un peccato: se in passato, nel ristrutturare o costruire, si fosse tenuto conto di questo convento, lasciandone qualche parte, oggi Tirano godrebbe di un ulteriore esempio di storia locale, una struttura che dal passato ci ricorderebbe vicende e memorie civiche e religiose.
Ivan Bormolini
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