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giovedì 7 aprile 2011

LE MEMORIE DI FAUSTO SIDOLI: "IMBARCHIAMO DEI FERITI E RIPARTIAMO"

[PARTE 21] Il mio ricordo è di un catino, nel quale noi siamo, con i bordi molto alti così che per individuarli bisogna alzare lo sguardo verso il cielo e del diametro di circa due lunghezze del battello...

Il comandante ordina di aprire i portelli di prora e di poppa e parte dell'equipaggio sale in coperta. All'interno della rada le onde lunghe del mare arrivano ancora ed il sottomarino si dondola in una lenta ma costante altalena. Tutto è buio.
Ci aspettano? Non ci sono banchine di attracco. Intanto il Comandante inizia la manovra per girare il battello con prora all'uscita al fine di essere pronti a riprendere il mare a tempo debito. E' buio pesto, la manovra viene eseguita con i motori elettrici, e data la ristrettezza del bacino e la rilevante lunghezza del battello non si riesce ad evitare di pestare sul fondo roccioso, sia con la prora che con la poppa.
Sono colpi sordi che scuotono il battello, non si riesce ad evitarli, perché data la ristrettezza del posto si unisce anche la profonda altalena provocata dalle onde che entrano nel bacino. Finalmente la manovra di giro è terminata, il battello ha la prora all'uscita e deve essere tenuto in questa posizione lavorando con i motori elettrici.

Finalmente, sotto riva si accende una lucina, sappiamo poi che è una pila a mano, formato scatoletta, con una piccola lampadina, spesso usate per il cammino notturno.
Sentiamo anche una sciacquio e finalmente vicino alla scafo si materializzano due chiatteche sono portate da soldati alla guida di un nostromo. Si ormeggiano sotto bordo, mentre nel frattempo si era provveduto a portare in coperta le casse viveri e le casse munizioni. Le taniche di benzina, legate in gruppi vengono gettate in mare, verranno recuperate da terra dato che galleggiano bene. E si inizia lo scarico di tutto ciò che si è portato. Le zattere effettuano alcuni viaggi.

Mi riferiscono, dato che sanno che sono tiranese, che un soldato chiede se vi è qualcuno di Sondrio. Anch'io sono in coperta per lo scarico e mi faccio avanti. E' un ragazzo di Chiuro, mi chiede se potrò portare notizie ai suoi, dato che prevede, andando tutto bene, che finirà prigioniero. Prendo l'indirizzo ed il breve colloquio tra due valtellinesi nel porticciolo di Bardia ha temine perché ognuno ritorna al proprio impegno. Compirò l'ambasciata a Chiuro alcuni mesi dopo, quando solo allora avrò la licenza per salire a Tirano.

Sono passate alcune ore, siamo alla fine dello scarico quando la chiatta ci segnala che il comando di terra segnala che hanno dei feriti che vorrebbero sgombrare, dato che non vi è alcuna possibilità di cura lì sul posto. Il Comandante accetta di evacuarli e ne ordina l'imbarco. Con l'ultima chiatta arrivano una decina di feriti, sono medicati alla meglio, è penoso per loro scendere nell'interno del sommergibile, perché pur prestando tutta l'attenzione, dobbiamo pur farli passare dal portello, scendere la scaletta, e sistemarli nell'interno.

Tutte le nostre braccia sono a disposizione e questi poveri feriti galleggiando su di noi riescono a raggiungere i posti assegnati: sono le nostre cuccette e dei posti branda a prora.Nella mia cuccetta viene adagiato un capitano della milizia contraerea, che ha dieci buchi in corpo, non so se prodotti da proiettili o da schegge, comunque è assai prostrato. Altri hanno ferite di vario genere al torso, alle gambe, alle braccia e alla testa. Come ultimo regalo ci viene inviato a bordo un arabo, che è considerato un spia e che dovrà essere consegnato nel primo porto di attracco alla polizia militare per l'interrogatorio.

Sono in coperta a poppa ed ho sovrinteso allo sbarco di ciò che si era portato ed all'imbarco dei feriti. L'imbarco dell'arabo è una tragedia. Vi immaginate un uomo del deserto, abituato all'aria libera, al cielo stellato, alla vita di nomade, doversi infilare in quel buco nero che è il portello di poppa: é come scendere all'inferno. Non vuol scendere. Dobbiamo stringerlo alle gambe, sollevarlo e di peso afferrarlo dal basso e sistemarlo in camera di lancio a poppa. Terminate queste operazioni, si richiudono i portelli, ognuno rientra al proprio posto ed ancora con il buio il sommergibile infila il canale di uscita e si dilegua al largo.

Terminata la missione, aspettiamo ordini da Supermarina; riteniamo che ci venga ordinato il rientro in Italia, invece, arriva l'ordine di dirigere su Bengasi, dato che l'avanzata inglese continua, e ci ordinano di prestare l'aiuto possibile.

A cura di Ezio Maifré

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