Accadde un dì dell’anno 1848 in quel di Tirano... (Di Ivan Bormolini)
Per dirne una, un certo Ricetti, studente di medicina, se ne stava fumando alla finestra: passano dei soldati; uno di questi dice che il Ricetti aveva sputato su di loro, e lo denuncia al maggiore, il quale lo fa arrestare, e senza verificare il fatto, gli fa dare venticinque bastonate nel cortile del Municipio...
... Il Ricetti era zoppo e sciancato. Il medico del paese, Dottor Andres, e il capo del Comune avevano invano protestato e supplicato: anzi in pena di ciò il Maggiore li obbligò ad assistere al triste spettacolo.
Così, nella sua opera “Ricordi di gioventù”, Giovanni Visconti Venosta racconta la condanna inflitta al povero cittadino Ricetti forse per un’azione che a conti fatti lo studente zoppo e sciancato non aveva nemmeno commesso.
Certamente rappresaglie o dure condanne erano all’ordine del giorno in quei periodi da parte delle milizie ovviamente non solo a Tirano; ma quali erano le caratteristiche e le abitudini di questi soldati croati che eseguivano gli ordini degli austriaci?
Per dare una risposta a questa domanda ci viene in aiuto sempre il testo del G.V. Venosta: “Era gente alta, bruna e di costumi primitivi e barbari. In casa mia ne erano stati alloggiati parecchi, potevo quindi facilmente osservare le loro abitudini,e di tanto in tanto sapevo quel che pensassero,e quale fosse l’ordine delle loro idee.
Per quanto barbari e incolti, essi, per quella nota attitudine degli slavi a imparare le lingue, dopo poche settimane di soggiorno in un paese imparavano quel tanto di linguaggio che bastava loro per farsi capire...
... “Ti bona taliana” mi dicevano se regalavo loro qualche cosa; ma poi, perché non mi illudessi sui loro sentimenti, si affrettavano di soggiungere:
“ma mi metter anche baionetta in panza a tutta briganta taliana rivoluzionaria”.
Forse, presi singolarmente, quei soldati potevano essere buoni d’animo, ma nessuna azione azzardata poteva essere commessa nè contro di loro nè contro gli ideali dell’Austria altrimenti, come era successo al povero Ricett,i erano bastonate o peggio...
La loro disciplina era severissima per quanto concerne le regole militari, ma sempre seguendo il racconto del nostro illustre cronista scopriamo che avevano le mani molto lunghe e su questo il maggiore che li comandava chiudeva un occhio anzi tutti e due.
... “Rubavano a man salva,soprattutto i frutti di campagna e quando i contadini li sorprendevano: Paga Pio IX! Rispondevano. Li vedevo a volte fare il rancio in mezzo alla corte: piantavano in fila le caldaie, poi ci mettevano a bollire una specie di grasso puzzolentissimo e insieme al loro rancio ordinario aggiungevano tutto quello che ciascuno aveva rubato in quel giorno, e cioè fagioli, cavoli, patate, pannocchie di grano turco e persino de’ grappoli d’uva”. Certo l’odore del grasso, quello del rancio messo a bollire nelle caldaie e l’aggiunta casuale di frutta e verdure ci fa credere che quei pranzi non fossero davvero invitanti, ma evidentemente quei soldati vi avevano fatto l’abitudine come dire “o mangi questa minestra o salti dalla finestra!!!”.
Continuando la loro conoscenza, oltre a scoprire che probabilmente avevano uno stomaco di ferro, abbiamo appurato che anche la pulizia e l’igiene personale non erano cose che li toccavano molto da vicino.
“Spalmavano di sego delle bende, che attorcigliavano attorno alle gambe, infilandole poi in quei loro pantaloni strettissimi, che tenevano senza levarli, giorno e notte per delle settimane, e anche per mesi. Spalmavano di sego anche il corpo, coprendolo con corpetti attillati; e dicevano che ciò faceva molto bene alla salute, e che li preservava dagli insetti.
Crediamolo pure -continua il Venosta- ma questo bel preservativo li faceva puzzare come ognuno può immaginarsi, talchè quando lasciavano un alloggio ci rimaneva un tanfo che durava persino degli anni.
Poveri diavoli, malnutriti, puzzolenti ma pur sempre uomini lontani da casa; nostalgia, dubbi e perplessità si insidiavano nelle loro menti tanto che uno di loro confessò di aver detto alla sua moglie prima di partire:
“Mi ti lasciare tre porci, cinque pegore, sette galline, due piccoli figli; se mi tornato trovare quattro porci, sei pecore, otto galline dico brava moglie, ma se trovo tre figli mandar via con legante moglie e figli”.
Questa in sintesi è la breve storia di quei soldati croati, ma a ben guardare, forse i loro superiori se le cavavano un pochino meglio, ma solo forse!!!
Il comandante civile e militare di Tirano era un maggiore che si chiamava Krall e si diceva che era talvolta feroce e talvolta bonario; questa affermazione ci porta a domandarci cosa provocava l’alternarsi di questi due atteggiamenti così distinti e diversi tra di loro.
“Era buono - racconta il Venosta - soprattutto quando aveva bevuto molto, circostanza questa che per fortuna si verificava assai di frequente.
I suoi sudditi tiranesi, che se n’erano accorti, quando avevano bisogno di placarlo o d’ottenere qualche cosa sapevano come fare. Più volte le bottiglie dei buoni vini valtellinesi ottennero grazie e favori e salvarono anche la vita di qualcuno".
Il maggiore Krall potrà dunque essere ricordato come l’uomo dal pugno di ferro quando era sobrio, ma quando era ubriaco poteva essere considerato come un piccolo cagnolino al guinzaglio pronto ad elargire piaceri e favoritimi richiesti dai furbi tiranesi; si dice, infine, che quando era ubriaco soleva dire con enfasi e sbiascicanti parole:
“Io sono imperatore di Tirano... e mia moglie intanto conduce i porci al pascolo!”.
Povera “imperatrice” forse nemmeno sapeva di aver avuto un marito imperatore di Tirano, ma è meglio pensarla povera e minuta tra i suoi porci che vicina ad un uomo amante del vino e tronfio di un potere che nemmeno, per nostra fortuna, sapeva gestire.
Ivan Bormolini
AUTORE: Giovanni Visconti Venosta
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