A Bormio, il 31 gennaio e il 2 febbraio, ritornato le tradizioni di L’è fora Geneiron e l’Ors fora de la tana.
La giornate si allungano e l’aria pungente sta cedendo il passo ai primi timidi accenni di primavera. È un momento da festeggiare, oggi come un tempo. Se ora noi accogliamo con il sorriso la bella stagione che si avvicina, in un passato non troppo lontano la fine di gennaio rappresentava un importante traguardo per tutte le famiglie contadine: era terminato il mese più lungo e freddo, quello che
poteva incidere significativamente sulle cataste di legna e sulle scorte alimentari accumulate nelle dispense. Proprio per questo Bormio salutava chiassosamente il suo ultimo giorno: il rumore delle raganelle prima e delle scatole di latta poi, era un invito all’allegria e alla speranza; la vita diventava un pochino più facile, la terra si preparava a regalare nuovi frutti, la neve si ritirava permettendo agli
uomini di raccogliere nuova legna nei boschi.
La rumorosa e allegra tradizione di L’è fora Geneiron, che ancora oggi vede al calar della luce del giorno i bimbi del paese riversarsi mascherati nelle strade al suono dei campanacci e dei barattoli di latta, aveva quindi lo scopo di salutare il
clima rigido che li stava abbandonando e di risvegliare la terra. Le giornate si allungano e l’aria pungente sta cedendo il passo ai primi timidi accenni di primavera.
Ma anche gli adulti, il 2 febbraio, festeggiavano a modo loro l’addio al freddo pungente con l’Ors fora de la tana. Un tempo si raccontava che il secondo giorno di febbraio gli orsi si risvegliassero dal letargo per appurare le condizioni climatiche e decidere se proseguire nel lungo sonno o dare inizio alla propria fase attiva. Da qui, la tradizione tramandata tra gli adulti, di far uscire dalla propria
abitazione amici e parenti, facendo simulare loro il plantigrado che lascia per la prima volta il proprio rifugio dopo il lungo inverno; i malcapitati venivano quindi accolti quando scendevano in strada con la frase canzonatoria “L’è fora l’ors de la tana!”
I due rituali, che celebravano il risveglio della natura e il ritorno all’operosità, ci ricordano lo stretto legame che univa i nostri antenati alla terra, unica fonte di sostentamento prima dell’avvento del turismo. Cose d’altri tempi? Forse. Tuttavia è bene ricordare che, a dispetto della profonda trasformazione del tessuto socio-economico verificatasi nel bormiese nella seconda metà del XX secolo, la stretta relazione e dipendenza tra la popolazione locale e l’ambiente in cui vive continua a persistere: se il nostro sostentamento non è più strettamente legato ai frutti dei campi, il territorio che ci ospita con le sue risorse ed attrattive continua ad essere il principale motore dell’economia turistica su cui si basa il Bormio.
Museo Civico di Bormio
Nessun commento:
Posta un commento