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giovedì 9 febbraio 2012

"IL GOVERNO MONTI HA VARATO LA LIBERALIZZAZIONE PER I RICCHI"

8 febbraio 2012 - L’Unione Cts non è pregiudizialmente contraria alle iberalizzazioni ma è fortemente critica rispetto al provvedimento dell’esecutivo.

Il governo Monti sta liberalizzando sul serio e su ciò che conta o sta facendo demagogia? Di certo sta gettando fumo negli occhi dell’opinione pubblica, nascondendo sotto il vessillo di una pseudo liberalizzazione la scure che va a colpire cittadini e settori già in difficoltà perché tra i più penalizzati dall’attuale congiuntura economica, con la conseguenza di creare un malcontento sociale sempre più diffuso e palpabile.

L’Unione Cts non è contraria per partito preso alle liberalizzazioni, ma sono gli interventi messi in campo dall’esecutivo in carica che, nonostante i proclami, in realtà non vanno in questa direzione e somigliano piuttosto a ‘liberalizzazioni dei poveri’ o ‘liberalizzazioni per i ricchi’, vale a dire a vantaggio di questi ultimi e, pertanto, ingiuste e inutili nel dare una risposta ai problemi della collettività.

All’opposto di quanto sta avvenendo, liberalizzare significa avere il coraggio di incidere sui settori veramente ‘bloccati’ dell’economia del nostro Paese, sui poteri forti che fanno capo all’alta finanza, alle grandi compagnie petrolifere, agli imperi assicurativi, ai monopoli ancora esistenti in tanti settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Sono queste le liberalizzazioni davvero necessarie e urgenti, se si vuole finalmente consentire al nostro Paese di modernizzarsi e di disporre di un libero mercato degno di questo termine.

Purtroppo, vediamo che a essere chiamate in causa sono categorie come quelle dei negozianti, dei gestori di impianti di carburante, dei tassisti, degli autotrasportatori ecc., che non sono così protette o abbienti come si vuole far credere, ma sono piuttosto fatte di persone che, come la maggior parte delle famiglie italiane, fanno fatica a far quadrare i conti e a mettere da parte un risicato guadagno a fine mese. Un esempio eclatante è quello del gestore di un impianto di distribuzione di carburante: su un litro di gasolio il gestore ha un margine lordo di 4 centesimi (di 2 euro e 80 centesimi lordi su un pieno) ed è immediatamente intuibile che, se andassimo a ridurre del 25% il suo guadagno, non avremmo un risparmio significativo per il cittadino e che è altrove che bisogna intervenire, se si vogliono veramente contenere i prezzi.

Ma occorre fare attenzione, perché l’occasione mancata di una vera modernizzazione dell’economia del Paese rischia di trascinarci in una ‘guerra tra poveri’ di manzoniana memoria, tutti a beccarsi gli uni con gli altri, “come accade troppo sovente tra i compagni di sventura”.

È quanto verosimilmente accadrà con la liberalizzazione degli orari dei negozi, che non servirà a portare più ricchezza, a fare girare l’economia e i consumi, ma è destinata a produrre vantaggi solo per i più forti, ai danni dei più deboli.

Siamo davvero persuasi che, in un momento di grave difficoltà economica, la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali possa realmente portare benefici concreti e tangibili, come per esempio l’aumento dei consumi e la riduzione dei prezzi?

Al contrario, siamo convinti che liberalizzare in uno Stato dove non c’è crescita non ha un effetto moltiplicatore della ricchezza. Se tutti i commercianti decidono di tenere aperti i loro negozi, i costi di gestione (personale, elettricità, riscaldamento e quant’altro) sono solo destinati a crescere, e giocoforza anche i prezzi per il consumatore finale; se, invece, a tenere aperto è solo ad esempio la grande distribuzione, il meccanismo che si crea è destinato a risultare fortemente discriminatorio nei confronti delle piccole attività che non sono nelle condizioni di sobbarcarsi un aggravio di spese e che quindi verrebbero ulteriormente penalizzate con un reale rischio di chiusura (altro che crescita!).

In merito agli orari, lanciamo infine un messaggio alle amministrazioni comunali, invitandole a non consentire libertà solo a ciò che appare loro conveniente (gli orari della grande distribuzione), e, magari per motivi che alla prova dei fatti non sono realmente collegati all’interesse pubblico, a non negare la libertà ad altri (pubblici esercizi).

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