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sabato 31 marzo 2012

BARUFFINI: UNA VECCHIA INTERVISTA RITROVATA

Tempo fa mi trovavo a guardare tra i libri e le riviste che i miei avi custodivano nella loro casa di via Selva nella bella Baruffini, quando mi è capitata tra le mani l’edizione N° 23 dell’aprile dell’87 dei Quaderni Valtellinesi... (Di Ivan Bormolini)

Guardando il sommario ho notato un titolo davvero interessante: “L’epopea di Barfìi - Il piccolo universo delle contrade di Baruffini”.
Subito la curiosità mi ha portato a leggere quell’articolo scritto da Dario Benetti e tra quelle pagine c’era un’intervista proprio ai miei cari avi e a Giuseppe Della Franca. Rileggere quelle parole è stato per me un tuffo nella memoria, nei racconti degli avi che mi raccontavano proprio quella Baruffini del passato e come gli abitanti fossero aggrappati con forza a quello che avevano, ovvero campi, un po’di bestiame, la vigna ed il contrabbando per poter vivere.

"Quali erano le risorse fondamentali qui a Baruffini?" - Domandò Benetti al “Giuanìi Gavelàsc”e all’ “Annìi Cadadìula”; ecco la risposta:
A Baruffini tutti avevano la vigna. La vigna aveva valore come la segale. L’uva buona la vendevano per pagare le tasse, l’uva seconda la bevevano…Ogni famiglia faceva il suo vino. Solo la torchiatura era un’attività comunitaria.
La proprietà dei terreni era della gente del paese ma c’era un livello per cui si doveva dare ogni anno una certa quantità del prodotto a certe famiglie di Tirano…
Nel paese tutti erano contadini, l’unica alternativa era il contrabbando con la Svizzera.
Con Tirano non siamo mai andati d’accordo... Quelli di Baruffini erano più semplici e si davano meno arie”.

la brudulesa

La brudulesa

"Era sviluppato l’allevamento?" - continuò l'intervistatore.
Tutte le famiglie avevano anche bestiame: la gente non emigrava e aveva quindi la possibilità di dedicarsi completamente ai campi e alle bestie.
I bambini e i vecchi andavano sui maggenghi e gli altri stavano a curare i campi. Adesso non c’è più né alpeggio né niente, non c’è più l’entità, i giovani vanno a lavorare via.
Ogni famiglia non aveva però più di tre vacche, molte anche una sola. Adesso in tutto il paese saranno rimaste venti bestie.
A Barifìi adesso siamo signori, chi si lamenta fa peccato mortale... Un giorno è capitato qui un turista americano e prima di andare via ha detto: “La vera Italia l’ho trovata a Baruffini”.
Ha detto così perché le città sono uguali dappertutto ma qua ha trovato la cordialità e l’allegria che non c’è in altri posti
.

Tornando alla terra i miei avi dissero:
“I campi adesso sono stai abbandonati ma la vigna è ancora curata.La terra dava la possibilità di vivere e basta. E fatiche una sopra l’altra.Non si poteva mettete via niente:nel caso in cui uno per necessità era costretto,per esempio per comprare una campo,doveva per forza andare via a lavorare per due o tre anni.Non c’erano comodità:neanche l’aratro si faceva tutto a zappa.
Per riuscire a vivere un tempo mangiavamo tutte le castagne,mettevamo campi fino a milleduecento metri,mettevamo giù la segale,patate,fagioli……Avevamo tanti pezzetti di terra.La gente aveva magari fame ma si scherzava e si era più cordiali di adesso,la gente si aiutava.
Durante il fascismo hanno bruciato le case:nei giorni seguenti si vedeva una catena di persone che si aiutavano a ricostruire”
.

una vita insieme

Una vita passata assieme

Qui finisce il colloquio tra Dario Benetti e i miei avi, due persone schiette, sincere e legate alla nostra numerosa famiglia; in quelle parole mi è parso di risentire distintamente la voce e le risposte del mio avo e della mia ava che rimasero per tutta la vita saldamente ancorate alle tradizioni e alla quotidianità della frazione. Ma poco dopo, leggendo l’articolo ho rincontrato un’altra persona che ho conosciuto personalmente e con la quale ho parlato più volte quando ero bambino, ovvero Giuseppe Della Franca. Il buon Giuseppe era sempre accompagnato dalla sua moglie ed il mio ricordo si concentra soprattutto quando questi coniugi, appena tornati dall’Australia, fecero visita alla nostra famiglia.

Si trattò di un incontro commovente, volti che si guardavano, occhi lucidi e tanta, veramente tanta voglia di ritrovarsi; ricordo come se fosse adesso il loro arrivo e quell’abbraccio, lungo carico di un sentimento forte, carico di amicizia, un’amicizia che gli anni e la lontananza non aveva scalfito ma rafforzato.
Quattro persone, destini diversi, storie di vita differenti eppure un unico amore: quella Baruffini che ancor oggi conserva tra le sue belle contrade tante storie profonde di vita vissuta intensamente.

In quella domenica sera i racconti dei coniugi Della Franca divennero via via sempre più interessanti: domande, risposte da una parte e dall’altra e alla fine ci si poteva rendere conto che dopo quella serata sarebbe stato possibile scrivere un piccolo libro fatto di capitoli intrisi di sentimenti e fatiche dove si raccontava la storia di chi aveva avuto il coraggio di partire e di chi aveva fatto la scelta di restare in quella frazione.

Ecco la storia di Giuseppe raccontata a Benetti:
“Sono stato in Australia 32 anni. Adesso c’è un po’ di crisi anche là. Sono partito alla fine del '48, avevo 34 anni, non c’era niente da fare qui.
Sono andato con una nave da settemila tonnellate e ho trascorso in mare 29 giorni. Mio nonno era andato in Australia nel 1864 e aveva trovato il deserto. Per noi invece la situazione era già migliore: gli emigranti avevano già organizzato numerose “Farm”. Vicino a Perth, a 20 chilometri, c’è un villaggio composto da molti emigranti di Baruffini dove si parla ancora il dialetto. Tutti hanno trovato lavoro. L’Australia esportava tanto: carne, frumento, frutta, lana... e l’Europa aveva fame. Adesso c’è il 7% di disoccupazione anche lì.
Gli italiani si sono sempre distinti per la voglia di lavorare: l’85% ha la casa, mentre gli australiani che ce l’ hanno sono solo il 20%. I primi emigranti non hanno trovato le nostre comodità: dovevano lavorare nella foresta come boscaioli in capanne provvisorie. Ce ne sono di quelli che sono là da tre generazioni...

Cari lettori, cari amici, sono giunto (forse, è possibile che Ivan possa scrivere ancora un paio di puntate, Ndr) alla fine di questa storia, ho sviato un po’ dal normale percorso delle due rubriche “Tirano terra di storia” e “Le nostre vie”, ma ho pensato che queste vicende famigliari e i vivi ricordi di quelli della Selva fatti di frammenti di vita, di emozioni e di tradizioni meritasse di essere pubblicata di seguito, senza interruzioni.

Credo, pur citando i miei sentimenti, che non ci si sia allontanati dal filo conduttore delle rubriche: ho parlato di tradizioni, di vita contadina, e di fede; in fondo ho rievocato quello spaccato di vita di un tempo, un tempo nemmeno troppo lontano ma per molti aspetti completamente differente dalla nostra quotidianità.

Penso poi che, tra foto e descrizioni, il lettore abbia potuto conoscere la via Selva, una semplice e bella contrada, uno degli ormai pochi esempi di quella Tirano e Baruffini dove ancor oggi si riesce a percepire un po’ di quell’essenza tipica del mondo bucolico.

Ivan Bormolini

  • FONTE: Quaderni Valtellinesi n° 23 aprile 87.

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