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domenica 2 settembre 2012

VALTELLINA: LA TRACIMAZIONE CONTROLLATA DEL 1987 DEL LAGO DI S. ANTONIO (2/2)

30 agosto 1987, domenica - Le televisioni che dovevano riprendere l’evento da trasmettere alla nazione erano appostate a lato sui monti con i loro potenti teleobiettivi; erano lassù che scrutavano ogni parte del corpo frana, facendo vedere all’Italia intera l’enorme ferita del monte Zandila...
Scrutavano palmo per palmo la massa di sassi e terra chiara come l’argilla che aveva sotterrato i paesi di Morignone e S. Antonio Morignone e le altre frazioni. Mostravano il lago il cui invaso aveva semisommerso alcune case di Aquilone e che ora era di quasi diciotto milioni di metri cubi.
Quell’acqua, ora marrone ora grigia a seconda del colore del cielo, era pronta a riversarsi su tutta la valle se le cose fossero andate male, se la “ tracimazione controllata “ si fosse rivelata un errore madornale. Tutti erano con la trepidazione nel cuore.
Solo i ruspisti della Carboni non sembravano esserne toccati. Impavidi li si vedeva scavare e spostare terra e sassi sul corpo diga con le grosse ruspe. Come formichine sul corpo frana scavavano, si muovevano con i loro macchinari spostandosi ora qua ora là, apparentemente con manovre senza senso.
L’acqua intanto, modulata delle turbine della centrale idroelettrica di Premadio, aumentava l’invaso in modo regolare.
Alle 4 del mattino del 30 agosto, come programmato, il lago era cresciuto fino a lambire la sommità dello sbarramento, poi lentamente l’acqua aveva imboccato l’alveo artificiale scavato dalle ruspe. Alle nove del mattino milioni di persone erano incollate davanti alla televisione con il fiato sospeso...
Ognuno in valle sentiva angoscia e paura. Tutti tacevano e pensavano alle cose che sarebbero potuto succedere; gli sfollati facevano i calcoli dei danni che avrebbero potuto avere; pensavano alla casa, ai beni conquistati con la fatica di ogni giorno, al posto di lavoro. Povera valle ! Cosa sarebbe successo nel caso d’un cedimento dello sbarramento?
L’acqua ora avanzava lentamente sul corpo frana, era un rigagnolo che man mano aumentava di consistenza.
Gli operai con le loro ruspe dovevano guidare quel rigagnolo d’acqua che sarebbe poi diventato più consistente, dovevano incanalare l’acqua facilitandone il deflusso. Quegli uomini al lavoro con le ruspe , al pari delle più grandi celebrità, erano sotto gli occhi di tutti. Ogni loro movimento era seguito con trepidazione dalla gente incollata alla televisione. Il loro capo Paride Carboni e i tecnici della Commissione davano loro continuamente ordini.
L’acqua, modulata nella portata, la si vedeva avanzare nel canale per poi scomparire tra la grande massa di terra.
Il corpo frana stava bevendo l’intera portata di cinque metri cubi d’acqua al secondo, stava inzuppando lo sbarramento , stava forse rendendo instabile l’ammasso di terra, sassi, alberi sradicati che aveva reso possibile quel lago.
Era il grande pericolo temuto dai tecnici della Commissione. Si temeva che l’acqua bevuta dal corpo frana rendesse instabile quell’ammasso di terra e sassi, di tronchi spezzati che faceva da sbarramento alle acque del lago. In tal caso esso sarebbe poi crollato sotto l’erosione dell’acqua che tracimava.
Gli sfollati sui monti, quelli ospitati negli alberghi, quelli presso i parenti, erano muti e pensosi. Tutti pregavano in cuor loro per la salvezza della valle.
Il corpo frana del lago di S. Antonio aveva assorbito più di cinque milioni di metri cubi d’acqua ma aveva tenuto. La temuta erosione non era avvenuta e ora l’acqua si era avviata docile verso valle.
La giornata fu memorabile. Le televisioni con i loro potenti teleobiettivi, appostati sulla roccia di Pravadina, seguirono tutto l’evento in diretta e moltissimi italiani poterono finalmente esultare per il successo!
Intanto, instancabilmente, i ruspisti della Cariboni continuavano il loro lavoro sul corpo frana, scavavano, allargavano l’alveo aiutati dalla forza dell’acqua tracimata che si era fatta di portata più consistente. I tecnici della Commissione tirarono un sospiro di sollievo, ma sapevano molto bene che il pericolo non era passato .
Laggiù l’acqua dell’Adda era ancora poca e di color chiaro e lassù sul corpo frana l’acqua tracimata aveva formato una grande pozza dove si era quietata.
L’acqua della tracimazione aveva imbevuto la grande massa di terra e sassi e ora poteva continuare la sua corsa a valle. Il drago si era finalmente dissetato.
La grande pozza si era ingrossata, era traboccata e l’acqua aveva eroso altra terra. Dalla pozza usciva ora un torrentello che si era diviso in due, tre rivoli scuri e fangosi e aveva ripreso il suo cammino verso valle; poco a poco i rivoli fangosi si erano ingrossati sino a gettarsi nel suo vecchio alveo dell’Adda presso le Prese.
La “tracimazione controllata” aveva avuto esito positivo!
Si udirono nelle case urla di gioia: la gente si abbracciò commossa. I visi si rasserenarono e tutti gli sfollati tirarono un sospiro di sollievo: le loro case erano salve! Alcuni fecero il segno di croce e ringraziarono Dio e i santi, altri si grattarono la testa e dissero che era andata bene.
da “ Le calamità del 1987 in Valtellina” di Ezio Maifrè

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