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sabato 27 luglio 2013

LA LEGGENDA DELLA SORGENTE DI RONCO (‘L FUNTANÌN DE RÙNCH)

Avevo promesso che avrei offerto da bere e che avrei rivelato il luogo della sorgente e la sua storia. Ebbene,lo farò. Ecco il percorso. (Di Ezio Maifrè)
Giungete all’alpe di Ronco, (montagna di Trivigno nel tiranese ) possibilmente a piedi percorrendo la mulattiera che parte dalla località “Cadéni “ in Tirano.
Dopo un quarto d’ora giungerete alla “ Prima Croce”. Dopo un altro quarto d’ora giungerete alla “Volta del Pèrsech” e in dieci minuti sarete a Ronco.
L’alpe di Ronco

Avrete fatto circa tre quarti d’ora di mulattiera ombreggiata: vi spettano alcuni minuti di riposo. Dallo spiazzo delle piante di tiglio potrete ammirare Tirano e la val Poschiavo.
lo spiazzo dei tigli di Ronco

Per giungere al “ funtanin de Rùnch “ occorre però fare altri cinque minuti di strada tra i prati di Ronco e giungere alla più bassa baita dell’alpe. Da lì imboccate il sentiero nel bosco e in cinque minuti vi troverete innanzi alla magica sorgente.
la sorgente di Ronco

La leggenda della sorgente di Ronco (‘L funtanìn de Rùnch)

Chii ‘l völ viv nuvant’àgn e pàsa sénsa malàs
‘l bévis àqua del funtanìn dela Val de la Gànda,
‘n chèla surgìva, matèi e matèli, ghìi de tacàs
se vulìi bév àqua püra cùma Dìu cumànda!

Iscì la mè àva Vergìnia a tücc i la cüntàva,
e lée l’è scampàda fìna a nuvantadùu agn,
‘nvéce ‘l mè àvv Giàcum che ‘l vin ‘l slapàva
l’è mort che ‘l gh’éra gnamò sesantàgn.

Le lacrime possono essere acqua d’amore o di dolore, ma l’acqua della sorgente di Ronco sono lacrime d’amore. Essa sgorga silente e copiosa, fresca e pura da un anfratto roccioso. In quell’anfratto palpita il cuore di una ragazza innamorata e lo si sente dal costante gorgoglio della sorgiva. Nelle notti senza luna, quel gorgoglio si fa sottile e tenue, quasi fosse un singhiozzo di ragazza per il suo principe azzurro lontano e irraggiungibile. 
Quella sorgiva vive nel bosco di faggi nella valle della Ganda e palpita di luce propria. E’ immersa tra lame di sole che penetrano tra i rami dei faggi secolari tra diafane penombre. Qui il canto del cuculo fa da contrappunto a una storia che i nostri avi raccontavano solo dopo aver bevuto l’acqua nel cavo della mano.
1915: la grande guerra era incominciata. Un gruppo di soldati d’artiglieria alpina di stanza alla caserma in località Piscina e al forte Sertoli di Canali era ogni notte di guardia nelle trincee scavate nel bosco proprio di fronte all’antica osteria della Virginia.
Due cannoncini da 45 mm erano puntati verso la val Poschiavo.
Dovevano fare da deterrente nel caso in cui il potente esercito tedesco fosse sceso dal passo del Bernina per giungere in Valtellina.
Il capitano Giacomo comandava quel plotone di artiglieri. Era un bel giovane; baffi e barbetta nerissima, occhi azzurri, sguardo fiero, nobile in ogni suo gesto riguardo ai suoi soldati. Tutti amavano e rispettavano il bel capitano.
Quando era stato richiamato alle armi aveva dovuto lasciare a Vicenza il suo amore: la bella e dolce Martina. La sera, suonato il silenzio, il bel Capitano invece d’andare a riposare si avviava solo e soletto per un sentiero tra pini e betulle, sino a raggiungere un faggio secolare nella Valle della Ganda. In quel bosco, nelle notte di luna si potevano veder ballare e cantare gli elfi. Gli elfi sono esseri simili agli umani nelle loro passioni. Sono alti e magri, talvolta capricciosi e benevoli verso l’uomo che li rispetta. Possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e molte volte aiutano le persone buone. Giacomo si fece amico dell’elfo “ Roncolino”.
Il bosco degli elfi
Quell’elfo era l’incarnazione di un antico e nobile guerriero tiranese; era un essere intelligente e armonioso e abitava nel tronco cavo di un faggio che ancora oggi si può toccare. L’elfo, amico di Giacomo, sapeva forgiare spade con metalli preziosi.
Una notte disse al bel Capitano cosa potesse donagli per farlo contento: gli propose una spada o un elmo. “No, rispose il capitano, vorrei una mazza magica che, battendola sulla roccia accanto al tronco della tua casa, mi faccia apparire la mia bella Martina, ogni notte”.
“Solo questo, disse elfo Roncolino, solo questo per farti contento ? Bene, ecco la mazza magica, ma il suo potere durerà solo un mese”.
Così il bel capitano, ogni notte si recava presso il bosco di faggi degli elfi; con la mazza magica batteva sulla roccia e come d’incanto appariva sorridente e felice la sua bella Martina. Ogni notte per un mese parlarono d’amore. Passato un mese la mazza magica cessò di funzionare.
Il bel Capitano ogni notte si sedeva sconsolato presso il grande faggio; continuava a battere la mazza contro la roccia con la speranza che ancora per una volta funzionasse. L’elfo Roncolino, sentendo quel battere forsennato, si impietosì poiché anche lui in vita aveva provato le pene dell’amore lontano. Uscì dal tronco e gli disse : “ Vedo che anche la tua bella Martina, lontana in quel di Vicenza, sta piangendo. Non posso più aiutarti a vederla ogni notte, ma posso donarti le sue lacrime d’amore. Ecco, d’ora innanzi, presso la mia casa di faggio, dove tu hai battuto la mazza sgorgherà una sorgente limpida e pura. Sono le lacrime d’amore della tua bella amata. Potrai venire ogni sera presso la sorgente per raccogliere nel cavo della tua mano il suo amore: quell’acqua sono le sue lacrime d’amore per te. La sorgente non smetterà mai di dare la sua acqua e sarà di conforto per tutti gli innamorati lontani l’uno dall’altra”.
L’elfo Roncolino con un sorriso se ne andò e non gli apparve più.
Il bel Capitano nel 1918 tornò a casa dalla guerra sano e salvo, sposò la sua Martina, diventò nonno e bisnonno, mentre la sorgente non cessò mai di dare quell’acqua freschissima e pura .
Per questa storia la sorgente fu chiamata dai montanari “ ‘l funtanìn de Rùnch “( la sorgente di Ronco ) dal nome e in ricordo dell’elfo Roncolino che ancora oggi aiuta gli innamorati, anche se lontani l’uno dall’altra, a riabbracciarsi superando ogni traversia e a diventare nonni e bisnonni.
A patto però che uno dei due innamorati beva l’acqua della sorgente del “ funtanìn de Rùnch “ almeno una volta all’anno.
Ezio Maifrè
(dedicato al Signor Pietro Del Simone, con gratitudine)

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