Bernardo Ferrari onora la memoria di don Andrea Gelsomino,
morto il 26 aprile 2013: "Mi piace farvelo ricordare con le parole di
una sondriese nativa di Bormio, Luciana Bracchi, allora segretaria di
Italia Nostra Onlus Sondrio. Superfluo ogni commento alle sue parole di
verità".
on Andrea Gelsomino, a Varazze, durante l'ultima cena con i
suoi discepoli. Ora, dal 26 aprile, è un giusto fra i giusti, e attende
la resurrezione. (Foto FBG)
Due sono le persone che, a mio parere, si sono distinte
per il loro impegno civico nel corso dell’anno passato. Due personaggi
scomodi, rompiscatole, piantagrane, linguacciuti, ficcanasi, tenaci,
caparbi, disinteressati, altruisti, onesti, trasparenti, che, guidati da
un’ immensa forza interiore e da una grande generosità, hanno
gridato ciò che sentivano dentro facendosi interpreti e portatori dei
diritti del cittadino, che nella nostra realtà conta niente, anche
perché vuole contare niente.
Due figure diverse, con esperienze e
formazioni diverse, appartenenti a generazioni diverse, ma la cui
azione concorda ed incama la vera e più profonda essenza del sentirsi al
servizio degli altri, di avere un grande cuore e tanto amore e fiducia
nell’uomo, di essere ottimisti, forse dei folli delfottimismo.
Un
toscano, don Andrea Gelsomino, capitato in Valtellina, dove da anni
trascorre le sue vacanze a S. Maria Maddalena di Valdisotto, esercitando
il suo apostolato di prete e di uomo, che ha vissuto in prima persona
la catastrofe e le vicissitudini dei Santantonini e le ha fatte
sue, assurgendo a loro difensore, perché nessuno meglio di lui, dal
profondo del suo animo generoso, conosce e capisce il loro dramma,
interpreta le loro speranze e esprime le loro disillusioni e i loro
bisogni.
I Santantonini per merito suo, anche per la sua
trentennale presenza tra loro, hanno ritrovato il senso di comunità, si
sono riuniti in Comitato di Paese per portare avanti insieme i complessi
problemi della loro sopravvivenza prima e della rinascita ora. É un
vero prete don Andrea, un Salesiano di don Bosco, un vero
interprete
del contenuto rivoluzionario del Vangelo e come tale suscita amore e
odio, perché difende gli ultimi, i deboli, quelli che non contano, per
farli assurgere a protagonisti.
Parla ai potenti, ma anche a
tutti noi, con sincerità, con schiettezza, senza peli sulla lingua,
gridandoci in faccia una realtà che a molti non piace, ma che dovrebbe
essere al centro dell’ attenzione di tutti, non solo eccezionalmente,
come é avvenuto per la contingenza natalizia, ma con azioni concrete,
vere, operative, discusse con la gente.
Per questo suo modo
estemporaneo di agire, don Andrea é scacciato dai più come una mosca
fastidiosa, é tacciato, é deriso, compatito.Ma il piccolo prete non
demorde, rimarrà a Valdisotto al suo posto, dove é stato chiamato a
testimoniare il suo grande amore per il prossimo, giglio tra i gigli de
«La tera perdùda».
Un valtellinese di Tirano, Bernardo Gabriele Ferrari,
ci ha offerto per Natale la sua strenna «Lettere di un cittadino
ostinato», una raccolta interessante, varia, piccante, stimolante di
missive inviate dal cittadino tiranese a personaggi variegati
rappresentanti il potere nelle sue diverse sfaccettature, ma comunque
sempre arrogante col cittadino, quell’inezia, quel nulla a cui non si
deve risposta e informazione, conto del proprio operato, ma da cui si
pretende ossequio, devozione, doveroso silenzio, al masssimo si concede
un balbettio, un bisbiglio, un chiaccheriggio
sommesso che non
disturbi troppo, che non incida nel profondo, che non sveli le segrete
trame, mai scomposte grida, denunce ad alta voce, e sconveniente, fa
perdere le medaglie, allontana i turisti dall’isola felice. Certo quello
di Bemardo Gabriele é un comportamento poco valtellinese, piace e non
piace, non é schivo, é dirompente, non è conformista, é arrogante, non é
velato di omertà, é schietto, non è taciturno, é gridato, é
estemporaneo, scompiglia, sconvolge, fa pensare, impegna, non é io, é
noi, é tutti, é disinteresse, é trasparenza, é democrazia, é libertà, é
il nuovo, é la speranza di credere in una società migliore, più giusta,
più bella.
Sondrio, 5 gennaio 1988 Luciana Bracchi