Siamo avvolti, come in una nuvola, da cento iniziative di bene. La cassetta delle lettere ci porta ogni giorno richieste di enti, istituzioni, centri assistenziali laici e religiosi col fine di venir incontro alle più disparate necessità in patria e all’estero: malattie, disastri naturali, fame, conseguenze di persecuzioni ed esodi.
La televisione pure concorre con giornate dedicate a questo o quel flagello, suggerendoci d’intervenire con il cuore i mano (l’ultima trovata è il versamento d’un euro via telefonino). Le più brillanti iniziative si accompagnano alla raccolta di soccorsi, da parte di Croce rossa, Medici senza frontiere, Il filo d’oro, Telefono azzurro…
Insomma si ha l’impressione che accanto ai malvagi siamo in tanti a essere buoni.
Ma analizzando più da vicino il tema della carità, diciamo che essa non dovrebbe essere interessata, non dovrebbe avere secondi fini, che non siano, per il credente, l’imitazione di Cristo, per tutti un dovere di giustizia. Già l’inserire lo scopo di salvarsi l’anima, in qualche modo turba quell’ideale perfetto. “La nostra mano destra non sappia quello che fa la sinistra” dice il vangelo, ma assai spesso se facciamo qualcosa di bene non solo lo sa l’altra mano, ma anche tutto il vicinato e se potessimo faremmo in modo che lo conoscesse l’universo mondo.
Ci sono poi delle “carità” che non si capisce bene per chi vengano fatte: per i nobili scopi che proclamano o per quegli stessi che le promuovono?
C’è stata una marca di detersivi, anni fa, che disse di voler destinare ad un fondo benefico 3.000 lire per ogni fustino acquistato. Questa mossa determinò un aumento delle vendite del 30%.
C’è poi ogni anno qualche attricetta, desiderosa di mettersi in luce, che stampa un calendario ove lei compare o nuda o avvolta in veli così sottili da lasciar vedere cosa c’è sotto meglio di una TAC. Il ricavato della pubblicazione andrà per la ricerca nella lotta contro il cancro del sigma e del retto. (Per le altre parti dell’intestino provvederanno altre colleghe…Non si può fare tutto…).
Poi ci sono le “partite del cuore” ove cantanti passati di moda e bisognosi di rilancio sfidano giornalisti desiderosi di pubblicità, a favore dei profughi di guerre e terremoti . Parallelamente si aggiungono tenori in fase di prepensionamento che organizzano “concerti della bontà” con presentatori commossi che cercano di impietosire il pubblico. Quasi sempre il ricavato di tali manifestazioni riesce appena a coprire le spese.
Lo stesso risultato hanno molti dei cosiddetti “Balli di beneficenza“ che sembrano servire solo per chi ha voglia di muovere un po’ le gambe e farsi vedere in società, esibendo costose toilettes.
La richiesta di fondi da destinarsi alle più disparate necessità assume anche aspetti originali, ma dopo un po’ trovano degli imitatori che moltiplicano le iniziative, che quindi si diluiscono e si frammentano: così dopo la domenica in cui si può assistere alla vendita di un cesto di arance, segue quella del sacchetto di mele, o di un orchidea, o di una stella di Natale…e chi più ne ha più ne metta.
Da qualche tempo, in ogni partita di Serie A i giocatori, alcuni dei quali guadagnano 1.500 euro l’ora (notte compresa), entrano in campo con una sopravveste sulla quale è scritta la malattia contro cui si intende promuovere la lotta. A fine campionato praticamente si è passato in rassegna tutto l’indice d’un trattato di Patologia medica. Una forma di pubblicità che non costa niente.
La mossa promozionale più brillante è stata quella di un famoso giocatore che ha dato a un ente benefico i proventi di una raccolta di barzellette che hanno in comune l’intento di farlo apparire goffo ed ignorante. Il danno si è tramutato in un aumento di simpatia.
Ci sono persino i “volontari a pagamento”, che francamente sembrano una contraddizione in termini.
Se dubbie sono in molti casi le modalità di raccolta dei fondi, ancor più misteriose sono spesso le effettive destinazioni di essi. In genere, quanto maggiore è l’Organizzazione che presiede alle opere di assistenza tanto più cospicue sono le spese di auto-mantenimento. Ad esempio è noto che la FAO e l’UNESCO, enti che fanno capo alle Nazioni Unite, usano l’80% dei fondi a disposizione per sostenere sé stessi e quel che alla fine arriva ai paesi in via di sviluppo spesso deve subire la tosatura suppletiva della corruzione locale.
Insomma si dovrebbe dire: “Quanta bontà sprecata!”. E ciò è un vero peccato, perché se l’assistenza caritativa dei privati può aiutare un piccolo orfanotrofio o costruire un ospedaletto, occorre l’intervento di istituzioni ben più importanti statali o internazionali, per risolvere problemi strutturali e complessi in un paese povero e lontano, o per debellare malattie e piaghe ataviche.
Tralascio di parlare delle vere e proprie truffe, che rientrano nella categoria “piange e fotte”, che si fanno approfittandosi della generosità della gente :falsi mendicanti milionari, sedicenti imprese senza scopo di lucro, furti a man bassa su depositi di aiuti umanitari e via rubando.
Le considerazioni fatte possono dare un senso di pessimismo, che sconforta i veri generosi, ma occorre secondo me meditare su due punti:
- E’ un errore credere che il bene e il male siano negli uomini nettamente separati: da una parte i campioni della malvagità e dall’altra i fautori della carità. Assai spesso invece, essi sono intrecciati e si può osservare che anche un crudele tiranno può inaspettatamente commuoversi ed aprire il suo cuore, mentre sull’altro versante anche i gesti di generosità possono apparire talora inquinati da dosi più o meno abbondanti di interessato egoismo. Dobbiamo realisticamente accettare questo stato di cose come accettiamo la forza di gravità, senza lasciarci condizionare, quando la generosità ci spinge, a soffocarla nello scetticismo. Paghiamo già tante tasse che anche una tassa in più sulla bontà non deve arrestarci. Senza scordarci che fare il bene fa bene.
- E’ giusto invece che anche nelle attività assistenziali le nostre opere siano orientate verso le istituzioni o le persone di cui ci fidiamo maggiormente per far arrivare nella maggior sicurezza possibile i nostri contributi a chi ne ha bisogno. Buoni sì, ma non fessi.
Franco Clementi
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