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domenica 25 settembre 2011

"IO LI HO VISTI": CLAUDIO VILLA

Roma, 1950. Il Cinema-Teatro “Manzoni”, nei pressi di S. Maria Maggiore, si presentava come un locale che aveva conosciuto nel passato tempi migliori... (Di Franco Clementi)

... il suo interno, soprattutto, mostrava qualche segno di decadenza, come talune scalcinature dell’intonaco e il velluto un po’ liso ed untuoso delle poltrone. Ma la guerra era finita da poco, il miracolo economico non era in vista e non era dunque ancora venuto il tempo di una ristrutturazione.

I film che vi si davano non erano di prima visione, tuttavia il “Manzoni” si riscattava ai miei occhi per due motivi:

  1. prima della proiezione della pellicola offriva dei numeri di varietà ;
  2. il prezzo del loggione era accessibile a militari, studenti ed altri squattrinati come me.

Nell’avanspettacolo si alternavano prestigiatori, canzonettisti, trasformisti, comici e balletti : alcuni di poca sostanza, altri invece destinati a palcoscenici più prestigiosi.

Un giorno sentii annunciare fra gli altri un certo “Claudio Pica, in arte Villa”, a me completamente sconosciuto, ma che fra gli habitués della sala doveva aver destato in precedenza un qualche entusiasmo, perché da platea e galleria scrosciarono gli applausi e si levarono urla di approvazione : “Claudio! Claudio!”.
Ed ecco comparire un giovanottello vivace che raggiunse con agili balzi il centro della scena, faccia e atteggiamenti da classico “bullo “ romano; era giovane, piccolo di statura, coi capelli imbrillantinati e indossava una giacca a quadrettoni che ben presto si premurò di togliere, rimanendo in maniche di camicia fra l’estasi degli ammiratori colpiti da tanta democraticità.

Cominciò a cantare alcuni motivi in voga, con uso di falsetti, modulazioni e gorgheggi, al modo dei già affermati Carlo Buti e Luciano Virgili, ma al bisogno sapeva tirar fuori degli apprezzabili acuti con voce tenorile, squillante ed autorevole. Insomma ci sapeva fare.
Quando sembrò che avesse concluso, dal loggione scese un’invocazione in romanesco : “A Claudio ! Càntace Luna rossa!”. A quel punto tutto il pubblico all’unisono, battendo le mani e pestando i piedi ritmicamente, si mise a scandire “Lu-na-ros-sa ! Lu-na-ros-sa... !”.
L’artista chiaramente non aspettava altro ; come seppi più tardi, quella canzone, portata al successo al Festival di Napoli da Giorgio Consolini, gli dava l’occasione di cimentarsi col più anziano rivale.

Fu così che per la prima volta sentii cantare Claudio Villa ; ma debbo dire che al momento le mie conoscenze del mondo musicale erano molto modeste, sì che uscito dalla sala dimenticai subito canzone e cantante.
Ma solo poco tempo dopo provvide la radio (la TV non c’era ancora) a ripresentarmi l’artista e la sua interpretazione di “Luna rossa”. In breve il motivo divenne popolare e lo si poteva sentir fischiettare dal garzone del fornaio o canticchiare dalla domestica del piano di sopra. Al cantante aprì la via di una fortunata carriera.

- § -

Claudio Villa, il “reuccio della canzone”, aveva un carattere non sempre facile ; alcuni suoi atteggiamenti potevano apparire eccessivamente spavaldi ed arroganti, certe espressioni di esuberante giovanilismo talvolta erano addirittura ridicole, il suo modo di cantare poteva ad alcuni sembrare sorpassato, ma è indubbio che all’artista romano debbano essere ascritti alcuni grandi meriti :
a differenza di certi cantanti attuali che sono “costruiti” con artifizi fonici nelle sale di registrazione e che, privi di microfono non si fanno sentire oltre la seconda fila di poltrone in un teatro, Villa la voce ce l’aveva, ed era una bella voce;
il suo repertorio è stato sempre coerente con l’ispirazione della musica solare, mediterranea;
Villa ha difeso appassionatamente la nostra tradizione musicale, ribellandosi all’introduzione quasi violenta di altri esotici ritmi, che hanno trasformato la scuola del bel canto italiano in una colonia culturalmente straniera.

Quando Villa cantava intendevamo quello che diceva: oggi, se si accende la radio e non si sa l’inglese, non si capisce proprio niente.

“Nannare’, perché, perché te sei innamorata
de ‘sta musica americana... !...
.....c’era ‘na volta tutto quel che c’era
povera Roma nostra forestiera.”

Franco Clementi

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