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venerdì 31 maggio 2013

ALLA MEMORIA DI DON ANDREA GELSOMINO

Bernardo Ferrari onora la memoria di don Andrea Gelsomino, morto il 26 aprile 2013: "Mi piace farvelo ricordare con le parole di una sondriese nativa di Bormio, Luciana Bracchi, allora segretaria di Italia Nostra Onlus Sondrio. Superfluo ogni commento alle sue parole di verità".
on Andrea Gelsomino, a Varazze, durante l'ultima cena con i suoi discepoli. Ora, dal 26 aprile, è un giusto fra i giusti, e attende la resurrezione. (Foto FBG)
Due sono le persone che, a mio parere, si sono distinte per il loro impegno civico nel corso dell’anno passato. Due personaggi scomodi, rompiscatole, piantagrane, linguacciuti, ficcanasi, tenaci, caparbi, disinteressati, altruisti, onesti, trasparenti, che, guidati da un’ immensa forza interiore e da una grande generosità, hanno
gridato ciò che sentivano dentro facendosi interpreti e portatori dei diritti del cittadino, che nella nostra realtà conta niente, anche perché vuole contare niente.
Due figure diverse, con esperienze e formazioni diverse, appartenenti a generazioni diverse, ma la cui azione concorda ed incama la vera e più profonda essenza del sentirsi al servizio degli altri, di avere un grande cuore e tanto amore e fiducia nell’uomo, di essere ottimisti, forse dei folli delfottimismo.
Un toscano, don Andrea Gelsomino, capitato in Valtellina, dove da anni trascorre le sue vacanze a S. Maria Maddalena di Valdisotto, esercitando il suo apostolato di prete e di uomo, che ha vissuto in prima persona la catastrofe e le vicissitudini dei Santantonini e le ha fatte sue, assurgendo a loro difensore, perché nessuno meglio di lui, dal profondo del suo animo generoso, conosce e capisce il loro dramma, interpreta le loro speranze e esprime le loro disillusioni e i loro bisogni.
I Santantonini per merito suo, anche per la sua trentennale presenza tra loro, hanno ritrovato il senso di comunità, si sono riuniti in Comitato di Paese per portare avanti insieme i complessi problemi della loro sopravvivenza prima e della rinascita ora. É un vero prete don Andrea, un Salesiano di don Bosco, un vero
interprete del contenuto rivoluzionario del Vangelo e come tale suscita amore e odio, perché difende gli ultimi, i deboli, quelli che non contano, per farli assurgere a protagonisti.
Parla ai potenti, ma anche a tutti noi, con sincerità, con schiettezza, senza peli sulla lingua, gridandoci in faccia una realtà che a molti non piace, ma che dovrebbe essere al centro dell’ attenzione di tutti, non solo eccezionalmente, come é avvenuto per la contingenza natalizia, ma con azioni concrete, vere, operative, discusse con la gente.
Per questo suo modo estemporaneo di agire, don Andrea é scacciato dai più come una mosca fastidiosa, é tacciato, é deriso, compatito.Ma il piccolo prete non demorde, rimarrà a Valdisotto al suo posto, dove é stato chiamato a testimoniare il suo grande amore per il prossimo, giglio tra i gigli de «La tera perdùda».
Un valtellinese di Tirano, Bernardo Gabriele Ferrari, ci ha offerto per Natale la sua strenna «Lettere di un cittadino ostinato», una raccolta interessante, varia, piccante, stimolante di missive inviate dal cittadino tiranese a personaggi variegati rappresentanti il potere nelle sue diverse sfaccettature, ma comunque sempre arrogante col cittadino, quell’inezia, quel nulla a cui non si deve risposta e informazione, conto del proprio operato, ma da cui si pretende ossequio, devozione, doveroso silenzio, al masssimo si concede un balbettio, un bisbiglio, un chiaccheriggio
sommesso che non disturbi troppo, che non incida nel profondo, che non sveli le segrete trame, mai scomposte grida, denunce ad alta voce, e sconveniente, fa perdere le medaglie, allontana i turisti dall’isola felice. Certo quello di Bemardo Gabriele é un comportamento poco valtellinese, piace e non piace, non é schivo, é dirompente, non è conformista, é arrogante, non é velato di omertà, é schietto, non è taciturno, é gridato, é estemporaneo, scompiglia, sconvolge, fa pensare, impegna, non é io, é noi, é tutti, é disinteresse, é trasparenza, é democrazia, é libertà, é il nuovo, é la speranza di credere in una società migliore, più giusta, più bella.
Sondrio, 5 gennaio 1988 Luciana Bracchi

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