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sabato 7 aprile 2012

IL CALENDARIO DEGLI AVI, IL COMUNICATO E LA POESIA DEL MACININO DEL CAFFE’

Avevo deciso di smettere con l’intervista pubblicata venerdì scorso, il discordo inerente a “ Quelli della Selva”, non perché non ci fossero altri capitoli di vita da raccontare ma perché credevo che queste storie, si piacessero, ma poi con l’andar del tempo, potessero divenire poco interessanti... (Di Ivan Bormolini)

Ma rieccomi qui davanti alla tastiera; ho dovuto ricredermi, grazie alla segnalazione di parecchi lettori che mi hanno dimostrato attraverso varie forme di messaggio che questi miei semplici scritti sono piaciuti: qualcuno ha parlato di commozione invitandomi ancora a raccontare quelle vicende che credo siano state comuni a molte famiglie contadine di quella Tirano e frazioni.
Nel ringraziare di cuore i lettori, dico che è per me un piacere ricominciare a parlare di quel piccolo mondo che mi è rimasto nel cuore, un tratto della mia vita carico di sentimenti, di emozioni e nello stesso tempo di semplicità, quella semplicità di vita che forse abbiamo dimenticato, ma che dovremmo riprendere.

IL CALENDARIO DEGLI AVI: Parto da qui, da un semplice calendario come quelli che ogni anno gli istituti bancari distribuiscono; appena avuto uno di quei calendari, chiamato dai mei avi taccuino, l’ava, penna alla mano, segnava tutte le date dei compleanni della numerosa famiglia.
Appena pubblicato e messo in vendita l’Almanacco Agricolo Valtellinese, annotava i periodi propizi per la semina, l’avo evidenziava il periodo per il taglio della legna e per altre operazioni quali per esempio la data più consona per la macellazione del maiale ed altro ancora. Segni zodiacali, luna calante o crescente erano gli elementi fondamentali per tutto il lavoro e la giusta resa dell’annata agricola: non rispettare questi parametri avrebbe compromesso molte cose in quel faticoso lavoro contadino.

Eccolo il calendario, appeso la muro, imbiancato di giallo tenue, vicino alla porta d’entrata, ogni mattina lo si consultava; al ritorno della giornata tra orti e campi si segnava ogni cosa, data e ora della semina e dei raccolti, la data di acquisto del maiale, i giorni in cui si bagnavano le vigne e gli antiparassitari utilizzati ad ogni intervento, la data del pagamento dell’uva e tanto altro: un piccolo registro che la mia ava faceva finta di guardare ogni domenica sera. Se nella settimana vi era il nome di qualcuno che festeggiava il compleanno ricordava l’invito a cena nel giorno stabilito, ma quelle date le aveva ben impresse nella mente e nel cuore.

Ma quel calendario, mese dopo mese anno, dopo anno segnava, diceva la mia cara ava, il tempo che passava sempre più inesorabile, un tempo che nella loro vecchiaia sembrava scorresse sempre più veloce verso “quel che il destino e il buon Dio decideranno per noi”, rammentavano quei due della Selva, senza timore e senza paura verso quella parola che difficilmente pronunciavano ma che lasciavano intendere semplicemente come un fatto naturale della vita.

IL COMUNICATO: durante la settimana, per tenersi informati, i miei avi erano soliti sentire il radiogiornale Rai delle 13.00, il telegiornale della sera, sempre il Tg 1, e la domenica il Tg delle 13.00; la sera infatti la televisione era bandita, dall’inizio della cena in poi bisognava parlare, si voleva e si doveva stare insieme.
L’avo appena finito di mangiare si alzava dal suo posto vicino alla stufa economica e accendeva quella vecchia radio, diceva che era l’ora del comunicato. In guerra
l comunicato era un’altra cosa, ma lui ha sempre chiamato così anche quel momento di informazione.

Calava il silenzio, la sigla del giornale radio e poi via alle notizie: ascoltava a volte contento, ma spesso dubbioso, si grattava la pelata al sentire certi fatti, difficile esprimesse dei commenti se non a volte un’amara constatazione: “Povera Italia”, e l’ava sempre con fare preoccupato, come ho già detto in uno di questi scritti, affermava che il mondo stava diventando falso.

Vedevano, soprattutto guardando il Tg della sera, immagini che per loro erano sintomo di un’epoca che si stava per concludere e per dare il via ad una nuova, ma era proprio quel trionfo del benessere che a loro non piaceva e già anni fa, forse come profeti di vita dalle semplici parole, affermavano che presto si sarebbe tornati un po’ indietro.
Beh! Se guardiamo ad oggi forse quei due avi, che ne avevano viste tante, che avevano vissuto la miseria, senza essere nè economisti nè troppo acculturati, ci avevano visto lungo… Forse semplicemente ascoltando quel comunicato!

IL VECCHIO MACININO DEL CAFFE’ - Alla morte dei miei avi avevo chiesto se potevo conservare un vecchio macinino del caffè in legno che loro due usavano ogni giorno; il perché di quella mia richiesta fatta ai miei famigliari è semplice come semplice è stato quell’affetto incondizionato che fin da piccolissimo il mio avo ripeteva con un gesto pieno di amore verso di me proprio utilizzando il macinino del caffè.

Finiti pranzi o cene, il caffè era una tradizione irrinunciabile: la mattina, per colazione, gli avi bevevano quello del “pignatt”, una miscela che proprio non ho mai sopportato… Mi pare si chiamasse Miscela Leone, scatola gialla con un leone sulla parte principale della confezione.

Ma torniamo a quel macinino: sin da piccolissimo ricordo che le operazioni di grattugiare il formaggio di grana con una grattugia manuale in legno e quelle di macinare il caffè erano mansioni che competevano esclusivamente al mio avo.
Badate bene, non grattava mai grana o non macinava caffè se non per le giuste dosi da utilizzare per il pasto; diceva che il grana grattugiato e messo in frigo ed il caffè macinato lasciato nel contenitore del macinino perdevano l’essenza del gusto e quindi ripeteva queste operazioni tutte le volte.

Mi perdo nei meandri dei ricordi ma non rammento più quante volte sono salito seduto sulle ginocchia dell’avo mentre macinava il caffè; ricordo che mi guidava la mano sulla manovella del macinino: rideva sotto i baffetti perché non riuscivo bene a girarla e allora mi aiutava e mi diceva che quando sarei cresciuto avrei dovuto fare io quel semplice lavoro perché le forze dell’avo sarebbero venute meno ed allora io, il suo primo nipote, avrei dovuto aiutarlo… E per alcuni anni, dopo la cena della domenica, il caffè lo macinai io, mentre mi sentivo osservato dallo sguardo fiero di quel cantore seduto sulla sua sedia con le gambe accavallate. Ero il suo primo nipote, lo ripeteva fiero a tutti in ogni occasione.

Non immaginavo nemmeno lontanamente che l’ultima volta che ho macinato il caffè con quel vecchio macinino l’ho fatto solo per me e per la mia ava: quel vecchio omino dai modi semplici ci aveva da poco lasciati, ci guardammo negli occhi io e l’ava, non ci furono parole, la sua mano sulla mia spalla forse parlò di più di mille discorsi fatti di ricordi.
Conservo gelosamente un piccolo ricordo legato ad un grande e incondizionato affetto.

Ivan Bormolini

Continua…

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