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giovedì 25 novembre 2010

LE MEMORIE DI FAUSTO SIDOLI: "IL PERIODO BELLICO"

A fine giugno 1940 parto per l'Arsenale di Taranto. Nel luglio 1940 ho il primo contatto con la Marina Militare ove mi sono divertito moltissimo perché il primo lavoro assegnatomi è stato di controllare se, su tutte le navi militari presenti in porto nel Mar Piccolo e nel Mar Grande, esisteva una certa apparecchiatura...

Per far questo mi viene assegnata una pilotina (barca a motore) con nostromo e due marinai. Il controllo dell'apparecchiatura su tutte le navi mi impegnò per tre giorni, scorazzando da una nave all'altra. Ciò ha comportato la visita di tutte le navi presenti, dalle corvette ai caccia agli incrociatori, per finire sulle grandi navi da battaglia.

Ogni visita era piacevole perché la pilotina mi portava al barcarizzo dello scalandrone, scala che serve per salire a bordo sopratutto delle grandi navi. Bisogna pensare che dalla coperta delle grandi navi, rispetto al livello del mare dove arriva la pilotina, c'è un dislivello di quattro o cinque piani. Una volta salito a bordo, salutata la bandiera, mi presentavo all'ufficiale di guardia. Chiamato in coperta un capo meccanico, scendevo nei locali degli apparati motori per il controllo delle apparecchiature che nella fattispecie riguardava il funzionamento degli apparati motori per il controllo delle eventuali avarie. Preso nota dell'eventuali carenze, terminata la visita risalivo in coperta, sempre accompagnato da un capo motorista, di grado equivalente ad un Maresciallo dell'esercito, salutavo il capo che mi aveva accompagnato, mi licenziavo dall'ufficiale di guardia, riscendevo il barcarizzo e con la pilotina mi riportavano ad un'altra nave, dove le operazione erano ripetute.

Nelle grandi navi le potenze installate superavano i centomila cavalli e quindi le sale motori erano a volte imponenti, c’erano tanti addetti ed i controlli potevano essere lunghi e minuziosi.
Terminate le visite stendevo le relazioni con le mie osservazioni, per il Maggiore del Genio Navale comandante dell'Arsenale di Taranto.

Però, la mia passione per la Marina stava friggendo perché mi sentivo fuori posto al pensiero di poter essere imbarcato.
Ne ho parlato al Comandante dell'Arsenale che mi ha segnalato la possibilità di imbarcarmi sui sommergibili perché erano allestite nuove unità. Sentito ciò, detto e fatto la sera stessa ho presentato domanda per l'imbarco sui sommergibili. Una settimana dopo ero inviato alla scuola sommergibili di Pola.
Raggiunsi la nuova sede per ferrovia via Taranto, Ancona, Venezia, Trieste, Istria.

Destinato all'istruzione per gli aspiranti sommergibilisti era il sommergibile Ettore Fieramosca, 1300 tonnellate di stazza in superficie e 1600 in immersione. Il corso dura circa un paio di mesi e poi veniamo assegnati ad unità operative. Sono nominato Sottotenente del Genio Navale con destinazione su un sommergibile oceanico nella base di Bordeaux.
Fornito di documenti, divise, passaporto diplomatico e biglietti, raggiungo la sede a mezzo ferrovia secondo il seguente itinerario: Trieste, Verona, Brennero (7.03.1941), Monaco, Parigi, Bordeaux. Destinati ai sommergibili oceanici eravamo tre Sottotenenti, i miei due compagni ora morti entrambi ed io. Raggiunta la base di Betasom di Bordeaux dovevamo prestare giuramento ed essere destinati all'unità.

Arrivati a Bordeaux veniamo alloggiati su di un grosso transatlantico francese, il "De Grasse", ormeggiato in banchina. I sommergibili italiani erano nel porto interno che consentiva un livello di acque costanti perché munito di chiuse, dato che la Gironda (estuario formato dall’unione di due fiumi: Dordogna e Garonna) risentiva anche a Bordeaux delle grosse variazioni di marea del golfo di Biscaglia (Oceano Atlantico).
Prima dell'assegnazione del battello su cui essere imbarcato, essendo stato nominato Sottotenente del Genio Navale (GN), dovevo prestare giuramento. La cerimonia si sarebbe svolta davanti ad una commissione di "Comandanti di sommergibile".

I nuovi nominati dovevano presentarsi in tenuta completa: divisa blu, cappello, sciarpa azzurra, cinturone e spada. La mattina destinata al giuramento ero tutto affaccendato e carico di tensione per ben presentarmi.Non vi dico la fatica per allacciare il colletto inamidato della camicia bianca; colletto duro, stretto e con difficoltà di allacciamento. Non ho mai sudato tanto! E poi il nodo della cravatta che doveva essere perfetto: altra sudata!!! Finalmente lustro dalla testa ai piedi (quanto lucido sulle scarpe nere e quanto strofinio per renderle splendenti!), ero pronto per la cerimonia. Noi, nuovi Sottotenenti, eravamo schierati sulla banchina per effettuare il giuramento (eravamo cinque o sei) e si attendeva l’arrivo dei Comandanti anche loro in uniforme blu.

A cura di ezio maifrè Continua la prossima settimana

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